Sono diverse le scuole di lingua inglese nella città di Dublino. Girando il centro della città ogni 200/300 metri ci si imbatte in un cartello con suscritto "School of English". Esiste anche il modo di farlo gratuitamente, soprattutto se si hanno già le conoscenze di base della lingua.
Una prima alternativa potrebbe essere quella di frequentare le "Public library", quasi ogni circoscrizione della città ne possiede una. In questi luoghi, oltre che conoscere altre persone che si trovano lì per lo stesso motivo è possibile seguire dei corsi di lingua telematici gratuiti per ogni livello (dal base all'avanzato) per quanto concerne ogni tipo di abilità (pronuncia, scrittura, comprensione orale, comprensione scritta). Dopo 50 oredi studio le librerie rilasciano un certificato circa le competenze acquisite. La "Public library" maggiormente frequentata è quella centrale, situata in Henry street all'interno dell'Ilac Shopping Centre".
In queste public library è inoltre possibbile effettuare i cosiddetti "Conversational exchanges" (scambi conversazionali). Tutti i lunedì dalle ore 18:00 alle ore 19:45 si possono incontrare irlandesi interessati all'apprendimento della lingua italiana che saranno ben felici di parlare con un madrelingua che li aiuti a migliorare le loro competenze linguistiche e di ricambiare ascoltandovi parlare la lingua inglese correggendo i vostri errori e dandovi consigli preziosi.
Altra alternativa può essere quella di affiggere un annuncio nella bacheca generale del Trinity College in cui si offrono le proprie competenze linguistiche di madrelingua per insegnare l'italiano in cambio dello stesso favore per quanto concerne l'inglese. Infine, le esperienze di volontariato rappresentano un'ottima via per migliorare le competenze linguistiche. Nel caso non si trovasse subito un'occupazione retribuita (soprattutto se si è alle prime armi con la lingua) vi sono diverse opportunità di volontariato in Irlanda: è sufficiente digitare su Google le parole "volontariato Dublino" e sarà possibile avere una panoramica delle varie opportunità
PSYCHOLOGY ONLINE
martedì 8 maggio 2012
LAVORARE IN IRLANDA: NECESSARIO IL PPS NUMBER
Trovare un occupazione in Irlanda, anche se temporanea, può essere semplice ma vi può essere richiesto il pps number, una certificazione che attesta che siete domiciliati in Irlanda. Come fare per averlo?
Una volta trovata una sistemazione in Irlanda (anche in un ostello) potete iniziare subito a muovervi per ottenere il pps number. Dunque, chiedete al vostro padrone di casa una copia del contratto d'affitto o nel caso non ce l'abbiate, una delega da parte sua che attesti che siete domiciliati in quella casa o in quell'ostello. Nel caso non abbiate un contratto d'affitto sarà necessaria una bolletta relativa all'ultimo bimestre precedente la vostra richiesta.
Cercate attraverso internet il "Social Welfare Local Office" più vicino al vostro domicilio (soltanto per una questione di comodità, la richiesta del pps number può essere fatta presso qualunque ufficio) con una copia della vostra carta d'identità e del contratto d'affitto. Nel caso non avete il contratto portate con voi una delega del padrone di casa che attesti il vostro domicilio e una copia di una bolletta relativa all'ultimo bimestre precedente la vostra richiesta.
Una volta arrivati in ufficio recatevi alla portineria e riferite che siete intenzionati ad effettuare domanda di richiesta del pps number. Vi verrà assegnato dato un numero per la coda agli sportelli; quando arriverà il vostro turno recatevi agli sportelli con tutta la documentazione necessaria. L'impiegato prenderà atto della vostra documentazione vi farà firmare alcune carte. Il vostro pps number arriverà presso il vostro domicilio via posta entro una settimana dalla richiesta.
Una volta trovata una sistemazione in Irlanda (anche in un ostello) potete iniziare subito a muovervi per ottenere il pps number. Dunque, chiedete al vostro padrone di casa una copia del contratto d'affitto o nel caso non ce l'abbiate, una delega da parte sua che attesti che siete domiciliati in quella casa o in quell'ostello. Nel caso non abbiate un contratto d'affitto sarà necessaria una bolletta relativa all'ultimo bimestre precedente la vostra richiesta.
Cercate attraverso internet il "Social Welfare Local Office" più vicino al vostro domicilio (soltanto per una questione di comodità, la richiesta del pps number può essere fatta presso qualunque ufficio) con una copia della vostra carta d'identità e del contratto d'affitto. Nel caso non avete il contratto portate con voi una delega del padrone di casa che attesti il vostro domicilio e una copia di una bolletta relativa all'ultimo bimestre precedente la vostra richiesta.
Una volta arrivati in ufficio recatevi alla portineria e riferite che siete intenzionati ad effettuare domanda di richiesta del pps number. Vi verrà assegnato dato un numero per la coda agli sportelli; quando arriverà il vostro turno recatevi agli sportelli con tutta la documentazione necessaria. L'impiegato prenderà atto della vostra documentazione vi farà firmare alcune carte. Il vostro pps number arriverà presso il vostro domicilio via posta entro una settimana dalla richiesta.
IN VACANZA A FIRENZE? COME MUOVERSI?
I
monumenti più importanti di Firenze sono concentrati nei pochi chilometri del
centro storico.E' pertanto consigliabile muoversi a piedi, al fine di poter
ammirare le bellezze di questa città. L'orientamento
è abbastanza facile, perché i punti principali di Firenze sono molto vicini e
ben segnalati, quindi è molto semplice raggiungerli. Il cuore
della città è organizzato intorno al centro civile (Piazza della Signoria) e
storico (Duomo). Da qui, sempre a piedi, si raggiungono tutti gli altri luoghi
di interesse di Firenze. Un altro punto di riferimento importante è la stazione
di Santa Maria Novella, vicino all'omonima chiesa Qui arrivano tutti i treni e
gli autobus cittadini.
FIRENZE
NON HA UNA METROPOLITANA
MUOVERSI A FIRENZE IN AUTO
Firenze
ha un centro storico quasi interamente
pedonalizzato, in cui l'accesso
alle auto è consentito solo
ai residenti e ai turisti che devono arrivare all'hotel. Al di
fuori della ZTL (Zona a traffico limitato), il traffico può essere caotico. E'
quindi consigliabile evitare l'uso dell'auto quando possibile. Se si giunge a
Firenze in auto, è possibile lasciarla in uno dei grandi parcheggi di interscambio anche tutto il
giorno, pagando la tariffa giornaliera.
PARCHEGGIARE A FIRENZE
Parcheggiare a Firenze non è proprio semplice. I parcheggi gratuiti sono praticamente inesistenti,
ed è possibile trovarne qualcuno sono verso la periferia. Quando ci si avvicina
al centro storico, è possibile parcheggiare nelle strisce blu a pagamento.
Attenzione: le strisce bianche non
sono parcheggio gratuito ma riservate ai residenti. Ci sono
alcuni grandi parcheggi in cui lasciare l'auto per uno o più giorni. Il più
comodo da raggiungere è quello che si trova sotto la stazione di Firenze Santa Maria Novella. (Tariffa
oraria 2 € prima ora o frazione, 2 € seconda ora o frazione, 3 € terza
ora o frazione). Da lì in pochi minuti si raggiunge a piedi il centro. Sempre
vicino alla stazione c'è il grande parcheggio
della Fortezza Da Basso. (tariffa oraria 1,50 €
auto). I parcheggi del Parterre (Piazza Libertà) e Oltrarno (Porta Romana)
offrono tariffe turistiche giornaliere e notturne particolarmente vantaggiose.
MUOVERSI A FIRENZE IN AUTOBUS
Il servizio autobus di Firenze è gestito da ATAF e da LI-NEA; i pullman
sono di colore verde e arancione. Tutti
gli autobus fiorentini passano e fermano davanti alla stazione di Santa Maria
Novella, che quindi è un buon riferimento per chi non consce la
città. In modo diretto o attraverso un cambio, gli autobus fiorentini
permettono di raggiungere qualsiasi parte della città. Il servizio autobus è
attivo tutti i giorni dell'anno fino alle ore 1.50 di notte. Il biglietto per la corsa singola dura 70 minuti e
costa 1,20 € (2 € se acquistato a bordo). Per chi vuole
muoversi in libertà sugli autobus senza spendere un capitale, consigliamo il biglietto giornaliero che costa 5 €
e permette di salire e scendere liberamente da tutti gli autobus di tutte le
linee. L'abbonamento che vale tre giorni ha un costo di 12 euro. Le linee che
possono essere utilizzate per raggiungere il centro storico della città sono:
la C1, C2, C3 e D. Queste linee collegano varie zone della città con le
maggiori attrazioni del centro storico fiorentino (Ponte Vecchio, il palazzo
della Signoria, la cattedrale di Firenze, cattedrale di Santa Maria del Fiore,
gli Uffizi); le linee nei giorni feriali solitamente circolano dalle ore 7:00
alle ore 20:30 con una frequenza di 10/15 minuti, la domenica e i giorni
festivi la linea circola dalle ore 8:30 alle ore 20:30, con una frequenza di 15/20
minuti. L'aereoporto Amerigo Vespucci è collegato alla stazione di Santa Maria
Novella con una navetta a cui si accede con un biglietto dal costo di 4,5 euro.
Per maggiori informazioni consultare il sito www.ataf.net
MUOVERSI A FIRENZE IN TRAM
La
linea T1 circola nei giorni lavorativi con una frequenza di 4 minuti, dalle
7.30 alle 20.30, ogni 6 minuti dalle 5.30 alle 7.30 e dalle 20.30 a 00.30
MUOVERSI A FIRENZE IN TAXI
I numeri di telefono utili per
contattare un taxi sono:
Tel. 055 4390
Tel. 055 4499
Tel. 055 4242
Tel. 055 4798.
Tel. 055 4499
Tel. 055 4242
Tel. 055 4798.
Per chiamare un taxi occorre
chiamare uno dei numeri sopraindicati. All’interno di ogni taxi, oltre al
numero identificativo della vettura, è visibile il tassametro che indicherà, da
un lato la tariffa in progressione (in base al chilometraggio e al tempo di
attesa), dall’altro lato i vari supplementi (bagagli e chiamata radiotaxi). Sul
tassametro è visibile anche il tipo di tariffa adottata, che per le corse in
città è la 1, per fuori città la 2 e per le corse in aereoporto la 4. Il totale
dovuto apparirà sul display alla fine della corsa. Il tariffario è esposto all’interno
di ogni taxi. In caso di contestazione farsi rilasciare dal tassista una
ricevuta di pagamento con le seguenti indicazioni: percorso effettuato, numero
del taxi e somma
MUOVERSI A FIRENZE IN BICI
Il centro
storico di Firenze è piccolo e pianeggiante, quindi per chi non vuole camminare
a piedi la bicicletta è un ottimo mezzo. Camminando per le vie del centro si
incontrano diversi negozi di noleggio bici e anche luoghi dedicati al loro
parcheggio. Non tutte le strade del centro sono lisce ed asfaltate, quindi la
pedalata può essere faticosa e accidentata. Il Comune di Firenze ha promosso,
inoltre, una iniziativa per incoraggiare l’uso della bicicletta. Il servizio
consente il noleggio di una bici da una delle postazioni indicate. Le tariffe
sono abbordabili e consentono ai turisti il noleggio di una bicicletta a 1,50
euro all’ora. 4,00 euro per 5 h di noleggio. Il noleggio per una intera
giornata costa euro 8,00. Per maggiori informazioni è consultabile il sito: www.comune.firenze.it.
COSA SI INTENDE PER EMPATIA E PER TEORIA DELLA MENTE? VI SARA' FORSE UNA RELAZIONE TRA UN DEFICIT IN TALE ABILITA' E LA PSICOPATOLOGIA
L'empatia può essere definita come la capacità di
comprendere gli stati mentali altrui facendo riferimento alla propria
esperienza (Docety e Moriguchy, 2007). Il concetto di empatia riguarda sia
aspetti affettivi, la condivisione di aspetti emotivi e la condivisione di
emozioni, che aspetti cognitivi, la comprensione intellettuale di esperienze
emotive di altre persone (Davis, 1980). Gli aspetti cognitivi sono strettamente
correlati al concetto di “teoria della mente”, la capacità di inferire gli
stati mentali altrui sulla base dei propri (Premack e Woodruff, 1978). E'
comunque da sottolineare che, propedeutico al concetto di teoria della mente, è
la capacità di distinguere sé dall'altro, la consapevolezza che gli altri sono
diversi da sé, hanno una loro stabilità e continuità nel tempo e per questo
vivono emozioni e sentimenti diversi dai propri; al fine di sviluppare una
teoria della mente, inoltre, sarà rilevante la comprensione di due stati
mentali, quello dei desideri e quello delle credenze e la consapevolezza che la
mente sia un'attiva interprete di informazioni (Wellman, 1990), cioè che le
nostre percezioni non sono basate unicamente sulle informazioni ambientali. In
assenza di una teoria della mente la previsione, la spiegazione e il controllo
del comportamento sarebbero impossibili e il mondo apparirebbe caotico e
avverrebbe una totale rottura della comunicazione, cosa che succede in alcune
condizioni psicopatologiche come la schizofrenia, l'autismo e alcune malattie
genetiche come la sindrome di Williams. Di conseguenza, una piena comprensione
dello sviluppo delle capacità empatiche potrebbe avere importanti implicazioni
dal punto di vista terapeutico. Verranno illustrati, inoltre, in questo lavoro
alcune metodologie oggi utilizzate per la valutazione dello sviluppo delle
capacità empatiche del bambino e quelli che possono essere dei fattori di
rischio e protettivi affinchè i bambini sviluppino una teoria della mente:
fattori ambientali, come ad esempio la qualità dell'attaccamento sviluppato con
il caregiver possono assumere una certa rilevanza a tal proposito. Verranno,
inoltre, citati alcuni studi che dimostrano come lo sviluppo delle capacità
empatiche si prolunga fino all'età adulta.
A QUANTI ANNI SI SVILUPPA UNA TEORIA DELLA MENTE?
Per rispondere a tale domanda attualmente sono
utilizzati test in cui i bambini devono mostrare che comprendono che la realtà
può essere rappresentata in modo erroneo e quindi che la mente costruisce
attivamente le rappresentazioni mentali: i bambini devono saper conservare in
memoria due tipi di informazioni: una circa la realtà ed uno circa quella che
può essere una rappresentazione alternativa della realtà, una falsa credenza.
Un test che va ad indagare la comprensione della falsa credenza è il test di
“trasferimento inaspettato” (Wimmer e Perner, 1983). Il test consiste nel
racconto di una storia in cui un bambino chiamato Maxi mette una barretta di
cioccolata in un cassetto verde che poi viene spostata, da un terzo nella
storia, dal cassetto verde al cassetto blu. Al bambino si chiede dove Maxi
andrà a cercare la cioccolata: i bambini al di sotto di quattro anni in genere
rispondono che Maxi cercherà la cioccolata nel cassetto blu, prevedono il
comportamento di Maxi sulla base delle loro credenze, invece che sulla base
della falsa credenza di Maxi: tale errore è detto “errore realistico”. I
bambini più grandi invece prevedono che Maxi agirà in accordo con la sua falsa
credenza. Altro test utilizzato per indagare lo sviluppo della teoria della
mente del bambino è il test “apparenza realtà” (Flavell e Green, 1983): vengono
loro mostrati alcuni stimoli ambigui come una spugna dipinta in modo da
sembrare un sasso: i bambini al di sotto dei quattro anni, quando veniva loro
chiesto cosa gli sembrasse, rispondevano comunque che si trattava di una
spugna: ciò dimostrerebbe che i bambini tendono a focalizzarsi sulla realtà a
spese dell'apparenza. Diverse teorie hanno cercato di spiegare come mai i
bambini piccoli falliscano in tali compiti: ad esempio alcuni autori sostengono
che i bambini ritengono erroneamente che le informazioni si copiano
direttamente dalla mente, le informazioni provenienti dall'ambiente esterno vengono
convertite nella loro forma originaria in una rappresentazione mentale della
realtà; non concepiscono il fatto che l'uomo interpreti gli input percettivi e
quindi che possono essere vittima di informazioni ingannevoli e ritenere false
credenze. I bambini sembrano in grado di fare inferenze, ma non arrivano a
comprendere che altri possano farlo: sembrano quindi capaci di fare inferenze,
ma che non abbiano consapevolezza metacognitiva dei processi coinvolti nella
risoluzione del problema (Wimmer e Perner, 1988). Raggiunti i quattro anni i
bambini realizzerebbero, invece, che che la mente sia un interprete attivo
degli input ambientali e quindi che da tale processo può risultare un
informazione distorta e imprecisa (Perner e Davis, 1991). Secondo i teorici
della teoria, la comprensione della mente implica cambiamenti qualitativi del
sistema rappresentazionale organizzati in senso sequenziale: a due anni la
mente si alimenta di percezioni e desideri senza che sia in grado di
comprendere le credenze (comprensione di tipo non rappresentazionale); a tre
anni riescono a comprendere stati rappresentazionali come le credenze. Infine
il bambino riorganizza la propria teoria per spiegarsi come mai le ciò che le
persone credono o pensano è governato dalle loro rappresentazioni della realtà
e non dalla realtà stessa. In conclusione, quattro anni sembrerebbe l'età in
cui in cui avviene lo sviluppo della teoria della mente. Come accennato in
precedenza, è da considerare il fatto che alcuni fattori individuali possono far
si che l'esordio di tale tappa dello sviluppo del bambino venga anticipato o
posticipato.
DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLO SVILUPPO DELLA TEORIA
DELLA MENTE
Come accennato precedentemente, vi sono alcuni fattori
che possono ritardare ed ostacolare lo sviluppo della teoria della mente nei
bambini. E' stato ad esempio dimostrato che bambini cresciuti nelle tribù del
Camerun non sapevano risolvere il test di Maxi prima dei 5/6 anni (Avis e
Harris, 1991). Diversi fattori sociali influirebbero sulla capacità di
acquisire la teoria della mente, in primis l'interazione sociale: è stato ad
esempio dimostrato che l'interazione con gli adulti favorisce lo sviluppo della
teoria della mente (Lewis et al, 1996) e che vi è una correlazione tra il
vivere insieme a fratelli maggiori e performance corrette al test di Maxi in
età più precoci rispetto alla norma. L'interazione con gli altri probabilmente
accelererebbe l'acquisizione di una teoria della mente perchè porterebbe a
confrontarsi con molte situazioni in cui i propri punti di vista e i bisogni
sono in conflitto con quelli di altre persone. Anche lo sviluppo del linguaggio
appare correlato a quello della teoria della mente: è stato dimostrato che i
bambini sordi (non esposti alla lingua dei segni fin dalla nascita) mettono in
atto performance corrette ai test di teoria della mente significativamente più
tardi rispetto ai bambini sordi che vengono esposti alla lingua dei segni sin
dalla nascita (Woolfe e Siegel, 2002) e che soggetti di sesso femminile, che
apprendono il linguaggio più precocemente, superano i test di teoria della
mente prima rispetto ai ragazzi. E' stata rilevata anche una relazione tra
comprensione della falsa credenza e partecipazione a conversazioni familiari
aventi come oggetto gli stati emotivi. Altri fattori essenziali in tali
processo sembrerebbero la sensibilità e la responsività materna: un ruolo di
primaria importanza, infatti, sembrerebbe essere giocato dalle precoci
relazioni con le figure di attaccamento.
SICUREZZA E ABILITA' DI MENTALIZZAZIONE
Si suppone che i bambini sicuri acquisiscano
normalmente le capacità di mentalizzazione poiché hanno avuto una maggiore
esperienza nella descrizione e spiegazione del comportamento degli individui.
In uno studio che voleva indagare la relazione tra funzione metacognitiva e
sicurezza dell'attaccamento, la Main ha affermato l'importanza delle esperienze
infantili precoci con la figura materna per lo sviluppo di un'adeguata
conoscenza metacognitiva e che le esperienze vissute con i genitori possono
modificare non solo i contenuti della mente infantile, ma anche la capacità di
operare su di essi. I bambini con attaccamento insicuro non sarebbero in grado
di rivolgere l'attenzione all'ambiente in quanto impegnati a monitorare la
presenza fisica e l'accessibilità psicologica di chi si prende cura di loro.
Uno studio di Fonagy ha rilevato una forte relazione tra sicurezza e
comprensione della mente dell'altro, non affrontando però la questione se la
sicurezza infantile sia un elemento predittivo delle abilità di mentalizzazione
dopo i 3 anni, che in seguito è stato rilevato da un altro studio. Questo
lavoro sperimentale aveva due ipotesi di base: scoprire se i bambini sicuri
all'età di 4 anni abbiano maggiori probabilità di riuscire nel compito dello
“spostamento inaspettato”; la prestazione migliore dei bambini sicuri si nota a
5 anni in compiti che implicano 1 comprensione più complessa della mente
dell'altro (come la relazione tra emozione e credenza). Ai bambini di 4 anni è
stato somministrato il compito dello spostamento inaspettato; a quelli di 5
anni sono state somministrate anche prove di abilità cognitive generali, oltre
al compito di identificazione della figura e a quello della falsa credenza e
della emozione (dove il soggetto non solo deve capire qual è la convinzione di
1 personaggio, ma anche integrare quest'informazione con ciò che sa delle sue
preferenze e desideri in modo da predirne la risposta emotiva. Si è visto che a
4 anni l'83% dei bambini sicuri riesce facilmente nel compito dello spostamento
inaspettato (quelli insicuri, solo il 33%). Anche nel compito di
identificazione della figura sono state rilevate differenze significative (le
prestazioni dei bambini sicuri erano migliori), significatività che non è stata
rilevata nel compito della falsa credenza e dell'emozione. Si può inoltre dire
che a 5 anni i bambini sicuri riescono a comprendere con maggiore facilità il
punto di vista di un'altra persona. Quali sono i fattori che avvantaggiano i
bambini sicuri nelle abilità di mentalizzazione? In primis, l'acquisizione precoce del
linguaggio, conversare su oggetti fisicamente presenti, significa fare
esperienza di altri orientamenti nei confronti della realtà. Altri fattori
predittivi sembrano essere la capacità di gioco simbolico, la sensibilità e la
capacità materna di affidare gradualmente la responsabilità dei compiti della
vita quotidiana ai figli. Anche l'utilizzo da parte della madre di un
linguaggio ricco di termini mentalistici è 1 buon predittore. In conclusione,
le influenze sociali hanno un ruolo rilevante nella capacità di
mentalizzazione, soprattutto il riconoscimento da parte della madre del proprio
figlio come agente mentale. Vi sono tre possibilità in cui il modo materno di
considerare il proprio figlio come
agente mentale può influenzare la sua capacità di mentalizzazione: 1) può
sostenere l'acquisizione da parte del proprio figlio di 1 teoria della mente
relativa alla propria realtà culturale; 2)il linguaggio inerente stati mentali
permette l'acquisizione sa parte del bambini di concetti come credenze e
desideri, che giocano un certo ruolo nel successivo sviluppo di una teoria
della mente; 3) un interazione reciproca caratterizzata da sensibilità
consentirà un interiorizzazione di scambi di natura dialogica che sosterranno
la capacità del bambino di integrare tra loro diversi punti di vista sulla
realtà.
LO SVILUPPO DELL'EMPATIA DALL'INFANZIA ALL'ETA' ADULTA
Diversi studi compiuti tramite questionari e procedure
comportamentali indicano che le capacità empatiche continuino a migliorare dopo
l'infanzia. Sebbene l'esistenza dei neuroni specchio non sia ancora stati
confermata su esseri umani, studi di fRMI hanno riportato l'attivazione del
giro frontale inferiore (IFG) e della corteccia parietale posteriore, sia
durante l'esecuzione che l'osservazione di comportamenti diretti a un
obiettivo. L'attivazione del IFG durante il processamento di stimoli dal
contenuto emotivo (nel caso dello studio che verrà descritto in seguito, volti)
è positivamente correlata con la messa in atto di risposte empatiche. E'
comunque sconosciuto come il sistema dei neuroni specchio possa svilupparsi con
l'età; è stato ipotizzato che tale sistema, anche se innato possa continuare a
svilupparsi con l'età (Killner e Blackmore, 2007). Diversi studi hanno rilevato
cambiamenti età-correlati nella rappresentazione neurale di abilità
sociali-cognitive, soprattutto focalizzandosi sulla teoria della mente
(Moriguchi et al., 2007): questi studi hanno rilevato che le strutture
cerebrali implicate nella teoria della mente (corteccia prefrontale mediale,
mPFC, solco temporale e polo temporale) cambiano durante l'infanzia e
l'adolescenza. In particolare è stato rilevato un decremento nell'attivazione
della mPFC dall'infanzia all'età adulta (Blackemore et al., 2007). Altri studi
hanno rilevato cambiamenti età-correlati nell'attivazione neurale del precuneo,
durante la valutazione di stimoli dal contenuto emotivo (Kobayashi, 2008;
Pfeifer, 2007). Dato che ci sono cambiamenti età-correlati nelle strutture
neurologiche implicate nella teoria della mente, dovremmo aspettarci che tali
cambiamenti sussistano anche riguardo le capacità empatiche, visto lo stretto
legame tra questi due costrutti. L'obiettivo di questo studio, dunque, era
indagare i cambiamenti neurali età-correlati strutture cerebrali implicate
nella risposta empatica tramite fRMI. Nello studio sono stati inclusi soggetti
tra 8 e 27 anni che erano sottoposti a due condizioni sperimentali:
1)
inferire lo stato
emotivo dalla fotografia di una persona attraverso la sua espressione facciale;
2)
giudicare la
propria risposta quando confrontata con l'espressione del viso di altre
persone.
Hanno partecipato allo studio 47 soggetti sani, tra
gli 8 e i 27 anni che non soddisfavano i criteri per la diagnosi di disturbi
psichiatrici e neurologi: le abilità empatiche dei soggetti sono state preliminarmente valutate tramite opportuni
strumenti standardizzati, la “Griffith empathy measure” e la “Parent
Report Scale”. Come stimoli sono stati utilizzati volti felici, neutri e
tristi o arrabbiati. Le espressioni tristi e felici sono state utilizzate,
poiché ritenute adeguate ad evocare reazioni empatiche (Wild et al., 2001). Dal
momento che le risposte empatiche sono più facilmente evocate quando la
controparte è simile a se stessi (ad esempio per genere od età), sono stati
utilizzati stimoli facciali che potevano essere adattati in funzione dell'età
del soggetto lasciando invariate tutte le altre caratteristiche dei volti
(espressione emozionale, intensità dell'espressione emozionale etc.). In entrambi
i compiti, sia nella condizione “self” che nella condizione “other” , i volti,
felici e tristi, erano presentati ai soggetti e veniva chiesto loro di
giudicare la loro stessa risposta emotiva allo stimolo. Le opzioni di risposta
allo stimolo erano tre: “triste”, “neutra” o “felice”. Innanzitutto è stato
rilevato un aumento età-correlato dell'attività neurale nel FG e nel IFG,
indipendentemente dal fatto che il soggetto attribuisse emozioni a se stesso o
agli altri. E' stato rilevato, inoltre, durante il compito “self” che
l'attività delle strutture parietali destre decrementa con l'età. L'attività
del IFG sinistro, conosciuto come uno dei principali componenti dei neuroni
specchio, aumenta con l'età durante il compito “self” se confrontato con il compito
“other”. E' stato suggerito che i neuroni specchio possano costituire il
substrato neurale della comprensione di emozioni altrui attraverso un
meccanismo di simulazione interna (Iacoboni e Mazziotta, 2007). L'attivazione
dei neuroni specchio negli adulti aumenterebbe come una funzione legata
all'expertise. Si ritiene che che l'aumento dell'attivazione del IFG con l'età
possa essere dovuto ad una maggiore esperienza acquisita durante interazioni
socio-emozionali. Gauthieret al. (1999) hanno evidenziato che l'attivazione del
IFG aumenta al crescere dell'expertise visivo; di conseguenza, si suggerisce
che la maggiore attivazione del IFG di partecipanti più anziani, in rapporto ai
più giovani, rifletta la maggiore esperienza ed expertise nell'estrarre informazioni
rilevanti da stimoli dal forte contenuto emotivo. Durante la condizione
sperimentale “self” i soggetti più giovani, hanno mostrato maggiore attivazione
del precuneo destro, del IFG e delle strutture parietali destre: questo dato fa
pensare che i più giovani si basano maggiormente su processi auto-referenziali
quando valutano la loro risposta emozionale agli stimoli facciali, suggerendo
che vi siano differenze individuali età correlate nella risoluzione di tale
compito. Tali risultati indicano che questi cambiamenti nello sviluppo sono
accompagnati da cambiamenti nell'attivazione di strutture parietali dx,
coinvolte nella cognizione auto-referenziale. Diversamente da molti altri
studi, inoltre, in questo studio non sono stati rilevati decrementi età-correlati,
nell'attivazione della mPFC e altro dato interessante è che tali cambiamenti
non son stati rilevati neanche nell'attività amigdaloidea. In conclusione,
questo lavoro sperimentale è stato il primo a dimostrare cambiamenti
età-dipendenti nelle rappresentazioni neurali dell'empatia dall'infanzia alla
prima età adulta. La maggiore attivazione del IFG e delle strutture frontali
coinvolte nelle risposte empatiche in soggetti di età più avanzata,
rifletterebbe la maggiore esperienza acquisita durante le numerose interazioni
socio-emozionali. L'attivazione età-correlata delle strutture parietali destre
può riflettere differenze di sviluppo nelle strategie cognitive atte alla
valutazione della propria risposta a emozioni altrui.
ABILITA' EMPATICHE IN PAZIENTI SCHIZOFRENICI
Da quanto detto fin'ora non vi è una singola area
cerebrale implicata nelle abilità empatiche, più strutture sarebbero implicate
in tale processo,: lobi temporali, giunzione temporo-parietale, mPFC e
corteccia cingolata anteriore. L'abilità cognitiva inerente la rappresentazione
di stati mentali è in genere detta teoria della mente (Premack e Woodruff,
1978), mentre l'abilità implicata nella condivisione e nell'inferenza di stati
mentali altrui è detta empatia (Lawrence et al, 2004). Questi due costrutti
sembrano essere correlati all'attivazione di aree cerebrali simili. I pazienti
schizofrenici sembrerebbero avere problemi nella rilevazione di stati mentali
altrui, le credenze, i percetti e le emozioni e il grado di compromissione di
tali abilità sembrerebbe roflettere dal grado di severità della patologia, il
grado di compromissione delle funzioni esecutive e più in generale il grado di
destrutturazione cognitiva. Queste anormlità sono state proposte essere
sottostanti a specifici sintomi delle psicosi, come allucinazioni uditive,
deliri di persecuzione, disturbi del pensiero e sintomi negativi (Frith, 1992).
Diversi lavori sperimentali si sono concentrati sul cercare di comprendere come
mai questi pazienti avessero un deficit la sfera empatica: è stato dimostrato
che i pazienti schizofrenici avevano attivazioni ridotte nel IFG e (Russell et
al., 2000) e nella mPFC sinistra (Lee et al., 2006). Altri studi hanno
dimostrato una riduzione nella densità e nel volume della materia grigia in pazienti
schizofrenici (Honea et al., 2009), suggerendo quindi che alla base delle
performance anomale vi fosse un processo degenerativo. L'obiettivo del presente
studio era indagare attraverso fRMI i correlati anatomici di teoria della mente
ed empatia, attraverso fRMI, in soggetti schizofrenici. Era stato ipotizzato
che le performance di soggetti schizofrenici fossero significativamente diverse
rispetto a quelle dei soggetti di controllo e sarebbero anche differenti i
livelli di attivazione delle aree cerebrali precedentemente menzionate e che
queste aree avessero differenti volumi di materia grigia nei due campioni. Sono
stati sottoposti a quest'esperimento 24 pazienti schizofrenici cronici e 20
soggetti di controllo della stessa età. E' stata inoltre valutata la severità
della sintomatologia di tali pazienti tramite una scala di misura, il PANSS. E'
stato utilizzato un paradigma di sperimentale in cui venivano mostrati ai
soggetti dei fumetti nei quali veniva raccontata una breve storia. Vi erano 4
categorie di storie: una la cui comprensione implicava l'applicazione della
teoria della mente, in cui il soggetto doveva inferire le intenzioni del
protagonista della storia; una storia inerente le l'empatia affettiva, che per essere compresa richiedeva ai partecipanti
di empatizzare con il protagonista della storia; due condizioni sperimentali di
controllo basate la cui comprensione richiedeva la padronanza di della
causalità fisica. I pazienti mettevano in atto prestazioni peggiori rispetto ai
controlli in entrambi i compiti. A livello neurologico sono state rilevate
differenze significative nelle seguenti regioni: lobo parietale posteriore
destro, giunzione temporo-parietale sinistra e nella mPFC. Nel lobo temporale
superiore è stata rilevata una diminuzione del volume della sostanza grigia.
Tra tutte queste aree cerebrali, l'area in cui è stata rilevata una differenza
maggiormente significativa è il giro temporale superiore destro: i pazienti
mostravano in quest'area un'attivazione significativamente maggiore rispetto ai
controlli nel compito di teoria della mente. In questa regione i pazienti
mostravano inoltre una riduzione significativa della sostanza grigia,
suggerendo suggerendo che le differenze nei due compiti sono correlate a
specifiche anomalie strutturali. Nel compito inerente l'empatia, invece, è
stata rilevata una maggiore attivazione del giro temporale superiore destro.
Questi risultati sono in accordo con quelli di altri studi che hanno dimostrato
anomalie sia qualitative che quantitative in queste regioni e altri che hanno
rilevato la distruzione delle connessioni di sostanza bianca tra lobi temporali
mediali e regioni neocorticali. In conclusione, l'appiattimento affettivo, che
è uno dei sintomi maggiormente prevalenti in questa patologia, può essere
spiegato in termini di regressione delle capacità del soggetto di
“empatizzare”, che a sua volta si traduce in una carenza di comunicazione
emotiva; tale alterazione può anche essere spigata in termini di compromissione
delle aree cerebrali riportate da questo lavoro sperimentale.
AUTISMO
L’autismo è una condizione psicopatologica che si
inserisce nell'ambito dei “disturbi pervasivi dello sviluppo”; il fenotipo
comportamentale di tale patologia è caratterizzato dall’alterazione di aree
alcune aree dello sviluppo: lo sviluppo della reciprocità sociale, della
capacità comunicativa. Prototipica della sintomatologia autistica è anche la
presenza di modalità ripetitive e stereotipate di comportamento. Si delineano 3
domini principali in cui si apprezzano alterazioni e deviazioni, che
considerate congiuntamente, configurano il disturbo autistico.
Le anomalie delle interazioni sociali sono il nucleo
principale e specifico dell’autismo,e richiedono quindi la maggiore attenzione,
le alterazioni delle competenze comunicative associate a diversi tipi di
comportamenti ripetitivi indirizzano la diagnosi nelle fasi precoci. Alla base
dei principali deficit e dei disturbi dello spettro autistico,sono considerate
rilavanti alcune anomalie dello sviluppo cognitivo ed emotivo; il riferimento è
alla teoria della mente ,secondo cui sarebbe presente una specifica difficoltà
nel comprendere e interpretare il modo di pensare altrui. Sarebbe presente
un’incapacità di comprendere gli stati mentali che di conseguenza limiterebbe la
reciprocità sociale. La difficoltà di comprensione degli stati emotivi altrui è
da considerarsi in questo ambito: la scarsa empatia non permetterebbe di
accedere al significato emotivo condiviso che fortifica il mondo relazionale.
Si è rilevata una ridotta capacità di organizzare le informazioni,di
programmare il pensiero e quindi le azioni,e poi di spostare il focus
dell’attenzione da un argomento all’altro; da queste difficoltà deriva
un’ulteriore limitazione ad interagire con l’ambiente.
Le anomalie dello sviluppo relazionale, i disturbi del
linguaggio e i comportamenti ripetitivi sarebbero secondari alla difficoltà
primaria di interazione sociale,ma non sono ancora chiariti i reciproci
rapporti causali. Alcuni studi si sono
proposti l'obiettivo di indagare quali fossero i deficit strutturali e le
manifestazioni comportamentali che sottostanno al deficit nelle capacità
empatiche tipico dell'autismo: uno di questi è andato a indagare le performance
e i differenti pattern di attivazione neuronale tra soggetti con una diagnosi
appartenente allo spettro autistico e soggetti di controllo (Shulte-Ruther,
Greimel et al., 2011). A questi soggetti era chiesto di valutare risposte
emozionali di volti (condizione sperimentale “other-task”) e di valutare la
propria risposta emozionale (“self-task”). I soggetti autistici mettevano in
atto prestazioni paragonabili a quelle dei soggetti di controllo nella
condizione other-task, ma prestazioni significativamente peggiori nella
condizione self-task. Durante il self-task i soggetti autistici attivavano
maggiormente la mPFC e le aree frontali inferiori. I soggetti autistici
attivavano il sistema dei neuroni specchio solo nella condizione
“self-task”, rispetto ai soggetti di
controllo. Altro dato interessante è che i soggetti affetti da autismo
attivavano durante la risoluzione dei compiti la mPFC dorsolaterale,
differentemente dai soggetti di controllo che attivavano la mPFC ventrale:
l'attivazione della mPFC ventrale potrebbe alla base della “costruzione del
proprio legame emotivo con le emozioni di altre persone”; i soggetti autistici
utilizzerebbero una strategia cognitiva atipica per accedere al proprio stato
emotivo in risposta alle emozioni altrui. Tale teoria spiegherebbe una
caratteristica fondamentale dell'autismo: il fatto che il loro deficit
consisterebbe nella comunicazione emotiva e non in una carenza di emotività
L'EMPATIA DEL DOLORE: COME SI COMPONE QUESTA RISPOSTA
EMPATICA?
In studi precedenti relativi ai correlati
neurali dell’empatia del dolore,era stata individuata attività solo nelle aree
del sistema limbico, responsabili dell’esperienza emotiva dolorosa. La regione
che ha attirato maggiormente l’attenzione degli studiosi a questo riguardo,è la
corteccia cingolata anteriore (ACC). In essa vengono elaborati, a livello
inconscio, i pericoli ed i problemi a cui un individuo è soggetto nel normale
decorrere delle proprie esperienze. Può essere considerata come una sorta di
sistema d’allarme silenzioso: riconosce il conflitto in essere quando la
risposta del soggetto è inadeguata rispetto alla situazione. La ACC è collegata
alla regione dell’opercolo parietale e all’insula posteriore e insieme sono
deputate alla percezione ed elaborazione del dolore .Queste aree sono coinvolte
non solo nel processamento del dolore ma anche nella mediazione delle diverse
risposte che si associano ad esso.
In uno studio di Hutchison e colleghi (1999) sul singolo neurone della corteccia cingolata anteriore,è stata registrata l’attività neurale sia nell’esperienza dolorosa provata in prima persona e sia,quando questa esperienza,era solo osservata negli altri;questi neuroni quindi,con la loro attività,hanno mostrato un meccanismo di simulazione simile a quello dei neuroni specchio nelle aree motorie,pur non essendo motoneuroni,ma solo relativamente a stimoli dolorosi. Lo studio sopra descritto però non può essere preso come un campione valido,in quanto è uno studio molto limitato e non facilmente replicabile,compiuto su pazienti neurologici con elettrodi impiantati nella corteccia cerebrale e quindi non ci da la prova dell’esistenza di un processo di simulazione del dolore che bypassa il comportamento motorio associato al dolore. In sintesi,questo studio non ci dice se,insieme all’ACC e le aree limbiche ad essa associate nell’emozione del dolore,si attivano anche le aree premotorie dei neuroni specchio che,come abbiamo precedentemente discusso,si attivano simulando il comportamento motorio in relazione ad altri tipi di emozioni.
In uno studio di Hutchison e colleghi (1999) sul singolo neurone della corteccia cingolata anteriore,è stata registrata l’attività neurale sia nell’esperienza dolorosa provata in prima persona e sia,quando questa esperienza,era solo osservata negli altri;questi neuroni quindi,con la loro attività,hanno mostrato un meccanismo di simulazione simile a quello dei neuroni specchio nelle aree motorie,pur non essendo motoneuroni,ma solo relativamente a stimoli dolorosi. Lo studio sopra descritto però non può essere preso come un campione valido,in quanto è uno studio molto limitato e non facilmente replicabile,compiuto su pazienti neurologici con elettrodi impiantati nella corteccia cerebrale e quindi non ci da la prova dell’esistenza di un processo di simulazione del dolore che bypassa il comportamento motorio associato al dolore. In sintesi,questo studio non ci dice se,insieme all’ACC e le aree limbiche ad essa associate nell’emozione del dolore,si attivano anche le aree premotorie dei neuroni specchio che,come abbiamo precedentemente discusso,si attivano simulando il comportamento motorio in relazione ad altri tipi di emozioni.
Queste
aree si attivano sicuramente quando siamo direttamente sottoposti ad uno
stimolo di natura dolorosa al quale consegue una risposta motoria (per esempio
se appoggiamo una mano su un fornello,le aree motorie e premotorie,elaborano e
attivano il movimento di ritrazione della mano dalla superficie calda),ma cosa
accade nel sistema specchio quando invece osserviamo situazioni dolorose che
coinvolgono altre persone?
E’ da questo quesito che Avenanti e colleghi hanno sviluppato il loro studio.
Nell’esperimento i soggetti sono stati sottoposti al campo magnetico generato dalla TMS:questo macchinario è collegato ad una sonda che viene passata sopra lo scalpo,la quale genera un campo magnetico che induce un campo elettrico in grado di modulare l’eccitabilità della corteccia cerebrale sottostante alla scatola cranica.
Le aree corticali sottoposte a questa modulazione,erano le aree motorie dell’emisfero sinistro,e in contemporanea sono stati registrati i potenziali evocati motori di due muscoli della mano destra dell’osservatore:il primo muscolo interosseo (FDI) che favorisce il movimento della mano nella risposta allo stimolo doloroso mostrato,e l’ultimo abduttore della mano (ADM) che non svolge alcun ruolo nel movimento di risposta al dolore. L’ipotesi dei ricercatori era che mentre i soggetti osservavano immagini di stimolazioni dolorose su delle mani (aghi che pungono le mani),l’eccitabilità del muscolo del soggetto corrispondente a quello punto nell’immagine,diminuisse. La diminuita eccitabilità nel muscolo del soggetto sperimentale, implica che quel muscolo sia attivo nel momento in cui avviene l’osservazione,cioè che sia preparato a dare una risposta al dolore.
Ai soggetti sono stati mostrati tre diversi video:il primo presentava una mano punta da un ago (stimolo nocivo),il secondo era un video a fini di controllo che mostrava una mano accarezzata da un cotton fioc (stimolo non nocivo) e il terzo mostrava un pomodoro punto da un ago (stimolo inanimato).Si è visto che durante l’osservazione dello stimolo nocivo l’eccitabilità del muscolo del soggetto che corrispondeva al muscolo punto nel video,FDI,era significativamente diminuita;mentre il soggetto era sottoposto all’osservazione dello stimolo inanimato,il potenziale subiva una diminuzione di entità non significativa e infine se il soggetto guardava lo stimolo non nocivo,l’eccitabilità era di poco aumentata (ciò significa che il muscolo non era eccitato in quel momento).
I potenziali evocati motori relativi al muscolo ADM,non correlato con la risposta motoria allo stimolo mostrato,confermano la sua esclusione dalla reazione al dolore nel caso in questione;infatti l’eccitabilità di questo muscolo risulta aumentare quando quella del FDI risulta diminuire (se diminuisse significherebbe che anche questo muscolo è attivato per
E’ da questo quesito che Avenanti e colleghi hanno sviluppato il loro studio.
Nell’esperimento i soggetti sono stati sottoposti al campo magnetico generato dalla TMS:questo macchinario è collegato ad una sonda che viene passata sopra lo scalpo,la quale genera un campo magnetico che induce un campo elettrico in grado di modulare l’eccitabilità della corteccia cerebrale sottostante alla scatola cranica.
Le aree corticali sottoposte a questa modulazione,erano le aree motorie dell’emisfero sinistro,e in contemporanea sono stati registrati i potenziali evocati motori di due muscoli della mano destra dell’osservatore:il primo muscolo interosseo (FDI) che favorisce il movimento della mano nella risposta allo stimolo doloroso mostrato,e l’ultimo abduttore della mano (ADM) che non svolge alcun ruolo nel movimento di risposta al dolore. L’ipotesi dei ricercatori era che mentre i soggetti osservavano immagini di stimolazioni dolorose su delle mani (aghi che pungono le mani),l’eccitabilità del muscolo del soggetto corrispondente a quello punto nell’immagine,diminuisse. La diminuita eccitabilità nel muscolo del soggetto sperimentale, implica che quel muscolo sia attivo nel momento in cui avviene l’osservazione,cioè che sia preparato a dare una risposta al dolore.
Ai soggetti sono stati mostrati tre diversi video:il primo presentava una mano punta da un ago (stimolo nocivo),il secondo era un video a fini di controllo che mostrava una mano accarezzata da un cotton fioc (stimolo non nocivo) e il terzo mostrava un pomodoro punto da un ago (stimolo inanimato).Si è visto che durante l’osservazione dello stimolo nocivo l’eccitabilità del muscolo del soggetto che corrispondeva al muscolo punto nel video,FDI,era significativamente diminuita;mentre il soggetto era sottoposto all’osservazione dello stimolo inanimato,il potenziale subiva una diminuzione di entità non significativa e infine se il soggetto guardava lo stimolo non nocivo,l’eccitabilità era di poco aumentata (ciò significa che il muscolo non era eccitato in quel momento).
I potenziali evocati motori relativi al muscolo ADM,non correlato con la risposta motoria allo stimolo mostrato,confermano la sua esclusione dalla reazione al dolore nel caso in questione;infatti l’eccitabilità di questo muscolo risulta aumentare quando quella del FDI risulta diminuire (se diminuisse significherebbe che anche questo muscolo è attivato per
I ricercatori,per trovare un’ulteriore correlazione tra le evidenze riscontrate nell’attività cerebrale e il processo empatico del dolore,dopo l’esperimento chiesero ai soggetti di stimare il grado di intensità del dolore provato dai soggetti osservati nei video;le domande usate dagli sperimentatori per conoscere il grado di dolore assegnato dai soggetti agli stimoli,provengono dalla subscala Sensory and Affective del McGill Pain Questionnaire (MPQ).Avenanti e colleghi riscontrarono che più bassa era l’eccitabilità motoria dei muscoli dei soggetti durante l’esperimento,più alto era il grado di dolore da loro stimato; vale a dire che quanto più acutamente entravano in empatia con il dolore osservato,tanto più intensamente le loro aree motorie simulavano l’azione di ritrazione dallo stimolo nocivo.
I ricercatori sostengono che alla base del processo che prepara la risposta al dolore,ci sia un sistema di risonanza dell’esperienza dolosa che estrae dallo stimolo nocivo gli aspetti sensoriali basilari e li mappa nelle rispettive regioni corticali motorie. Queste ipotesi sono state confermate dallo studio,quindi possiamo sostenere che anche nel processo empatico relativo al dolore,la simulazione dell’azione attuata dal sistema specchio delle regioni corticali motorie,gioca un ruolo importante e che questo processo non è attuato solo dalle aree del sistema nervoso deputate alle esperienze emotive nel sistema limbico,ma necessita anche di una prospettiva motoria.
LA COMPONENTE
EMOTIVA DELLA RISPOSTA AL DOLORE
Le precedenti evidenze mettono in luce il
ruolo delle aree motorie,trovando nel sistema dei neuroni specchio,un
contributo rilevante alla risposta empatica. Quando lo stimolo nocivo non è
manifesto all’osservatore ma solo intuito o suggerito,la risposta al dolore
altrui è modulata dalle stesse componenti del sistema nervoso o la base neurale
di tale risposta, è formata dall’interazione di diversi circuiti cerebrali che
agiscono in maniera selettiva relativamente alla forma in cui si presenta lo
stimolo? In altre parole,se il comportamento emotivo degli altri rispetto al
dolore non ci è manifesto,come riusciamo a capire il loro stato d’animo?
Singer e colleghi hanno voluto chiarire proprio questo, e lo hanno fatto tramite uno studio di fRMI che mette in luce in che modo e da cosa è attivata la componente affettivo-emotiva della risposta empatica al dolore,e il suo essere indipendente dalla componente motoria, quando non assistiamo a esplicite manifestazioni di dolore.
In questa situazione sperimentale i soggetti esaminati erano coppie di coniugi o fidanzati; la donna era posta nello scanner MRI mentre il compagno era seduto accanto ed entrambi erano collegati ad un elettrodo posto sulle rispettive mani destre,attraverso il quale i ricercatori assestavano scosse elettriche. Ad entrambi i soggetti era mostrato un monitor sul quale, subito prima dell’induzione dello stimolo nocivo, appariva una freccia che indicava a quale dei due soggetti fosse diretto il seguente stimolo (la donna posta nello scanner riusciva a vedere il monitor tramite un sistema di specchi).
Singer e colleghi hanno voluto chiarire proprio questo, e lo hanno fatto tramite uno studio di fRMI che mette in luce in che modo e da cosa è attivata la componente affettivo-emotiva della risposta empatica al dolore,e il suo essere indipendente dalla componente motoria, quando non assistiamo a esplicite manifestazioni di dolore.
In questa situazione sperimentale i soggetti esaminati erano coppie di coniugi o fidanzati; la donna era posta nello scanner MRI mentre il compagno era seduto accanto ed entrambi erano collegati ad un elettrodo posto sulle rispettive mani destre,attraverso il quale i ricercatori assestavano scosse elettriche. Ad entrambi i soggetti era mostrato un monitor sul quale, subito prima dell’induzione dello stimolo nocivo, appariva una freccia che indicava a quale dei due soggetti fosse diretto il seguente stimolo (la donna posta nello scanner riusciva a vedere il monitor tramite un sistema di specchi).
Sono state comparate le attività
cerebrali dei soggetti femminili, durante due condizioni: la prima condizione
(condizione “soggetto”) consisteva nell’induzione della scossa dolorosa,nei
confronti della donna;mentre nella seconda condizione (condizione “altro”) la
scossa dolorosa era nei confronti del compagno.
Attraverso il suggerimento della freccia indicatrice che appariva nello schermo,anche quando la scossa non era diretta alla donna, ella era cosciente prima che fosse emanata, che essa sarebbe stata diretta verso il suo partner. E’ su questo fatto che i ricercatori si sono basati per ricavare il significato della risposta empatica al dolore in un caso come questo, in cui il comportamento emotivo altrui è dedotto e non osservabile direttamente.
L’attività cerebrale registrata nella condizione “soggetto”, coinvolge le aree somatosensoriali e motorie primarie bilaterali, l’insula e la corteccia cingolata anteriore: le prime sono deputate all’elaborazione dello stimolo fisico del dolore,mentre le seconde sono relative al significato emotivo che lo stimolo doloroso suscita nei soggetti. Quindi nel caso in cui il soggetto è personalmente sottoposto ad uno stimolo nocivo, come noto, avviene un’elaborazione sensoriale ed emotiva di esso.
Nella condizione “altro”, in cui i soggetti non sono coinvolti in prima persona nella stimolazione dolorosa, ma sono consapevoli che un’altra persona vi è sottoposta (in questo caso inoltre,chi è sottoposto al dolore è una persona che ha una rilevanza emotiva per il soggetto esaminato), la risposta neurale non coinvolge il circuito del dolore nella sua totalità: l’attività registrata infatti, è osservata solo nelle regioni limbiche dell’ ACC e dell’insula, e non nelle aree senso-motorie deputate all’elaborazione del dolore.
Introducendo l’empatia del dolore ho parlato di uno studio di Hutchison nel quale era stata individuata l’attività della corteccia cingolata anteriore in relazione a stimoli dolorosi provati in prima persona e osservati negli altri; lo studio che ho appena esposto,ribadisce il ruolo dell’ACC in questa risposta empatica e sottolinea come questa regione insieme alla regione dell’insula, siano responsabili della componente emotiva alla risposta al dolore.
Il fatto che le regioni dell’insula e dell’ACC siano attive anche quando non c’è un’osservazione diretta del comportamento emotivo altrui ma c’è solo una conoscenza astratta di esso, convalida l’ipotesi della ricerca la quale sostiene l’esistenza di circuiti cerebrali coinvolti nell’elaborazione delle diverse componenti della riposta empatica al dolore; in questo studio è stata esaminata la componente affettiva della risposta empatica ed è emersa la sua attività anche indipendentemente dalla componente senso-motoria.
Sembrerebbe quindi che il nostro sistema nervoso sia congegnato per rispecchiare, e che soltanto attraverso la simulazione dei comportamenti degli altri (attraverso il sistema specchio) e dei loro stati d’animo (attraverso le regioni limbiche),noi riusciamo a comprendere a fondo cosa provano le altre persone.
Attraverso il suggerimento della freccia indicatrice che appariva nello schermo,anche quando la scossa non era diretta alla donna, ella era cosciente prima che fosse emanata, che essa sarebbe stata diretta verso il suo partner. E’ su questo fatto che i ricercatori si sono basati per ricavare il significato della risposta empatica al dolore in un caso come questo, in cui il comportamento emotivo altrui è dedotto e non osservabile direttamente.
L’attività cerebrale registrata nella condizione “soggetto”, coinvolge le aree somatosensoriali e motorie primarie bilaterali, l’insula e la corteccia cingolata anteriore: le prime sono deputate all’elaborazione dello stimolo fisico del dolore,mentre le seconde sono relative al significato emotivo che lo stimolo doloroso suscita nei soggetti. Quindi nel caso in cui il soggetto è personalmente sottoposto ad uno stimolo nocivo, come noto, avviene un’elaborazione sensoriale ed emotiva di esso.
Nella condizione “altro”, in cui i soggetti non sono coinvolti in prima persona nella stimolazione dolorosa, ma sono consapevoli che un’altra persona vi è sottoposta (in questo caso inoltre,chi è sottoposto al dolore è una persona che ha una rilevanza emotiva per il soggetto esaminato), la risposta neurale non coinvolge il circuito del dolore nella sua totalità: l’attività registrata infatti, è osservata solo nelle regioni limbiche dell’ ACC e dell’insula, e non nelle aree senso-motorie deputate all’elaborazione del dolore.
Introducendo l’empatia del dolore ho parlato di uno studio di Hutchison nel quale era stata individuata l’attività della corteccia cingolata anteriore in relazione a stimoli dolorosi provati in prima persona e osservati negli altri; lo studio che ho appena esposto,ribadisce il ruolo dell’ACC in questa risposta empatica e sottolinea come questa regione insieme alla regione dell’insula, siano responsabili della componente emotiva alla risposta al dolore.
Il fatto che le regioni dell’insula e dell’ACC siano attive anche quando non c’è un’osservazione diretta del comportamento emotivo altrui ma c’è solo una conoscenza astratta di esso, convalida l’ipotesi della ricerca la quale sostiene l’esistenza di circuiti cerebrali coinvolti nell’elaborazione delle diverse componenti della riposta empatica al dolore; in questo studio è stata esaminata la componente affettiva della risposta empatica ed è emersa la sua attività anche indipendentemente dalla componente senso-motoria.
Sembrerebbe quindi che il nostro sistema nervoso sia congegnato per rispecchiare, e che soltanto attraverso la simulazione dei comportamenti degli altri (attraverso il sistema specchio) e dei loro stati d’animo (attraverso le regioni limbiche),noi riusciamo a comprendere a fondo cosa provano le altre persone.
IL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: BASI NEUROBIOLOGICHE
Nella vita quotidiana è
plausibile incorrere in dubbi circa la validità delle proprie azioni verificare (ad esempio due volte di aver
chiuso la porta di casa e di incorrere nuovamente nel dubbio dopo averlo
fatto): questo, fortunatamente, non accade sempre visto che il nostro cervello
effettua, al di fuori della coscienza dei controlli costanti che ci garantiscono
la sicurezza. La caratteristica principale di coloro che sono affetti da
disturbo ossessivo compulsivo (DOC) riguarda l'alterazione di tale processo,
che non consente loro di “raggiungere la conclusione logica delle proprie
azioni”. Il DOC è una sindrome caratterizzata da ossessioni e compulsioni
che durano almeno un'ora al giorno e hanno un'entità tale da interferire col
normale funzionamento del soggetto nella vita quotidiana. Le ossessioni sono
vissute dal paziente sotto forma di pensieri, impulsi o immagini che provocano
un marcato stato d'ansia e disagio; le compulsioni sono comportamenti
ripetitivi che il paziente è obbligato a mettere in atto per alleviare l'ansia
provocata dalle ossessioni. I pazienti affetti da disturbo ossessivo
compulsivo, differentemente dai pazienti schizofrenici, sono consapevoli del
fatto che i loro comportamenti sono non adattivi, tanto che vorrebbero non
metterli in atto (anche se ciò accade solo nel paziente adulto e non nel
bambino) e molto spesso tendono a tenere nascosti i loro comportamenti
compulsivi (per tale motivo il DOC è anche detto “disturbo nascosto”). Le
ossessioni più frequenti sono: pensieri ripetitivi di contaminazione (ad
esempio il timore di essere infettati da una stretta di mano), necessità di
avere le cose sempre in un certo ordine (tali pazienti ad esempio provano
disagio se certi oggetti non si trovano in una determinata posizione), fantasie
sessuali e dubbi ripetitivi (ad esempio chiedersi sempre se si è chiusa la
macchina, se si è lasciata aperta la porta di casa). Le compulsioni sono
comportamenti mesi in atto con l'intento di sopprimere o ignorare l'ansia e il
disagio provocato da tali ossessioni, nonostante non sembrano connesse a ciò
che sono designate a neutralizzare. La maggior parte delle compulsioni riguarda
queste quattro categorie: contare, evitare, controllare e pulire: è stato ad es
riportato il caso di una donna che si lavava le mani più di 500 volte al giorno
per evitare di essere contaminata dai germi (Devison e Neale, 1974). L'incidenza
di tale patologia è di circa 1-2%, con prevalenza maggiore nelle donne ed è
considerata dalla Word Health Organization tra le 10 condizioni mediche
maggiormente disabilitanti. Le compulsioni, infatti, che l'individuo deve
mettere in atto per alleviare l'ansia
provocata dalle ossessioni, causerebbero uno stato di stress tale da
compromettere le normali attività della vita quotidiana, e in alcuni casi anche
concomitanti problemi medici (cosa che ad esempio accade nei pazienti che
mettono in atto compulsioni come il lavarsi continuamente: in tal caso, possono
presentarsi problemi dermatologici). Tra le patologie maggiormente associate al
DOC vi sono: disturbo depressivo maggiore, disturbi d'ansia, disturbi d'ansia
disturbi di personalità e soprattutto è stata rilevata un'elevata incidenza di
DOC in comorbidità alla sindrome di Tourette: nella diagnosi differenziale
pertanto occorrerà innanzitutto distinguere queste due patologie (i movimenti
motori improvvisi, rapidi e ripetitivi, messi in atto dai pazienti affetti da
sindrome di Tourette, sono molto meno complessi di quelli messi in atto dai
pazienti DOC e poi non sono volti a bloccare le ossessioni). E' comunque
importante differenziare il DOC da: depressione maggiore (in tale disturbo
l'angoscia nasce da uno stato generale di sofferenza non riconducibile a
ossessioni), fobie (i pazienti fobici non mostrano ansia quando lontani dagli
stimoli fobici), disturbo d'ansia generalizzato (le preoccupazioni eccessive
non sono considerate dal paziente inappropriate), ipocondria (le idee ansiogene
sono relative specificamente alla paura di soffrire di determinate malattie),
disturbi alimentari, parafilie, gioco patologico e abuso di sostanze (i
comportamenti compulsivi, in questo caso, più che alleviare l'ansia provocano
piacere al soggetto), disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (in tale
patologia più che un quadro di ossessioni e compulsioni, ne si rileva uno
caratterizzato da una generale preoccupazione per l'ordine, il perfezionismo e
il controllo) e superstizione e comportamenti ripetitivi di autoconferma (non
interferiscono in genere nella vita sociale e personale del paziente non
portano un malessere significativo).
L'interesse
per i correlati neurobiologici del DOC, che tutt'ora non sono ancora ben noti, è
nato a metà anni '80 quando si è scoperto che esso viene efficacemente trattato
con la clomipramina, un farmaco SSRI. Col passare del tempo si è scoperto che
tutti e cinque gli SSRI oggi presenti in commercio, hanno una certa efficacia
nel trattamento del DOC: queste scoperte. avrebbe dato il via al nascere
dell'ipotesi serotoninergica, che prevede che alla base del DOC vi sia un
deficit di serotonina. Altri filoni di pensiero appoggiano l'ipotesi
dopaminergica: il ruolo della dopamina nel DOC sembrerebbe infatti confermato
da studi che dimostrano che elevate dosi di DA, indotte da agonisti DA come
l'anfetamina, l'apomorfina e la L-DOPA, possono indurre movimenti stereotipati
che assomigliano ai comportamenti compulsivi dei pz DOC. L'ipotesi serotonino-dopaminergica
sostiene che entrambi i sistemi nerotrasmettitoriali siano coinvolti nel DOC;
non è chiaro se l'anomalia primaria sia nella funzione 5-HT, in quella della DA
o nell'equilibrio 5-HT-DA.
Gran parte degli studi atti a
investigare il substrato neurobiologico dell'OCD sono stati compiuti su modelli
animali in cui si andavano ad osservare alterazioni nel comportamento motorio
che corrisponderebbero ai rituali compulsivi umani; ovviamente le ossessioni
non sono osservabili in modelli animali e quindi gli studi si basano
sull'osservazione dei comportamenti compulsivi. La maggior parte di questi
modelli animali di OCD si basano su osservazioni comportamentali, manipolazioni
genetiche. Prima di affrontare l'argomento di quei sistemi
neurotrasmettitoriali e recettoriali che si pensano essere implicati nel DOC e
cercare di comprendere quale delle tre ipotesi possa essere maggiormente
accreditata, potrebbe essere utile un excursus circa alcuni lavori sperimentali
che hanno individuato le regioni cerebrali, la cui disfunzione, potrebbe essere
maggiormente correlata al DOC.
PSICOSI E SCHIZOFRENIA: COSA SUCCEDE A LIVELLO CEREBRALE E NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE
La
psicosi è una sindrome, un insieme di sintomi, che può associarsi a molti
disturbi psichiatrici, ma non rappresenta di per sé un disturbo specifico. La
sindrome comprende vari deliri e allucinazioni, ma sono anche presenti sintomi
quali pensiero ed eloquio disorganizzato e gravi distorsioni della realtà. La
capacità di conoscere la realtà, la risposta affettiva e la capacità di
comunicare e relazionarsi con gli altri sono compromesse. La psicosi può essere
una condizione necessaria in alcune patologie, mentre in altre può
semplicemente essere presente (mania, depressione e demenza Alzheimer). Le
allucinazioni riguardano spesso accuse, minacce di punizioni, avere delle
visioni; i disturbi motori riguardano posture rigide e peculiari, segni di
tensione; sogghigni e risatine, parlottamenti tra sé e sé, guardarsi attorno
come se udissero delle voci.
PSICOSI
PARANOIDEA
Il
pz presenta proiezioni paranoidi (essere ossessionati da convinzioni deliranti,
la gente parla di lui, crede di essere perseguitato o essere vittima di una
cospirazione e che forze esterne controllino le sue azioni), belligeranza
ostile (il pz manifesta irritabilità e cattivo umore, tende a incolpare gli
altri dei suoi problemi, si definisce colpevole) ed espansività esagerata
(mostra atteggiamenti di superiorità è convinto di essere una personalità ben
nota e di avere una missione divina).
PSICOSI
DISORGANIZZATA-ECCITATA
E'
caratteristica di essa una disorganizzazione concettuale (fornisce risposte
irrilevanti o incoerenti, elude il soggetto dalla discussione), disorientamento
(nn sa dove si trova, la stagione dell'anno, la propria età) ed eccitamento
(esprime i propri sentimenti senza limiti, eloquio affrettato ed eccessivo,
manifestazioni di superiorità, drammatizza la propria condizione).
PSICOSI
DEPRESSIVA
E'
caratterizzata da rallentamento e apatia (che si manifestano con eloquio lento,
indifferenza per il proprio futuro, movimenti rallentati, deficit nell' MBT,
aspetto trasandato) e sentimenti di
colpa e autopunizione (tendenza a biasimarsi e auto condannarsi, sentimenti di
colpevolezza e rimorso).
Colpisce
l'1% della popolazione ed è caratterizzata da deliri (erronea interpretazione
delle percezioni o delle esperienze, può essere persecutorio, somatico,
religioso o di grandiosità) , allucinazioni (più frequenti quelle uditive),
eloquio e comportamento disorganizzato, sintomi positivi, negativi, cognitivi,
aggressivi/ostili, ansioso/depressivi).
I
SINTOMI POSITIVI sembrano riflettere un eccesso delle funzioni normali e
possono riguardare deliri, allucinazioni, eloquio e comportamento
disorganizzato, catatonia e agitazione. Possono essere presenti oltre che nella
schizofrenia anche nel disturbo bipolare, nel disturbo schizoaffettivo, nella
depressione psicotica, nella demenza Alzheimer e in altre demenze organiche. I
SINTOMI NEGATIVI riguardano l'appiattimento affettivo, (limitazione in varietà
ed intensità dell'espressione emotiva), alogia (limitazione nella fluidità e
nella produttività del pensiero e dell'eloquio), apatia (limitazione nella
capacità di intraprendere attività finalizzate), anedonia e deficit attentivi.
I sintomi negativi rappresentano una riduzione delle funzioni normali della
schizofrenia. I sintomi negativi possono essere primari, tipici della malattia,
o secondari a effetti collaterali di farmaci antipsicotici ,a sintomi
extrapiramidali, a sintomi depressivi. I SINTOMI COGNITIVI riguardano disturbo
del pensiero e uso inadeguato del linguaggio (incoerenza e allentamento dei
nessi associativi e neologismi); difficoltà di attenzione, fluidità verbale
compromessa, problemi con l'apprendimento seriale e problemi per il
funzionamento esecutivo; queste caratteristiche si possono rilevare anche in
demenze e postumi di ictus o traumi cerebrali. I SINTOMI AGGRESSIVI/OSTILI
riguardano comportamenti autolesionistici, l'impulsività. I SINTOMI DEPRESSIVI
E ANSIOSI sono spesso associati alla schizofrenia ma non sono necessariamente
criteri diagnostici per un concomitante disturbo affettivo.
Le
4 vie dopaminergiche ben definite: la via mesolimbica, la via mesocorticale, la
via nigrostriatale e la via tuberoinfundibolare.
La
via dopaminergica mesolimbica proietta dall'area tegmentale ventrale verso aree
limbiche come il nucleus accumbens. Tale via ha un ruolo importante nei
comportamenti emotivi specie nelle
allucinazioni uditive, nei deliri e nel disturbo del pensiero. Tale teoria
detta ipotesi dopaminergica mesolimbica dei sintomi psicotici positivi, è
provata dal fatto che i farmaci e malattie che incrementano la dopamina, creano
sintomi psicotici positivi, mentre i farmaci che la bloccano, li riducono.
Inoltre, tutti i farmaci antipsicotici, sono dei bloccanti dei recettori DA, in
particolare i recettori D2. L'iperattività dei neuroni DA mesolimbici può
svolgere un ruolo importante nella mediazione nei sintomi aggressivi e ostili
della schizofrenia.
Tale
via parte dall'area tegmentale ventrale e proietta a varie aree della corteccia
cerebrale, in particolare la corteccia limbica. Si ritiene che alcuni sintomi
negativi e cognitivi della schizofrenia, possono essere dovuti ad una carenza
di DA in aree di proiezione mesocorticale, in particolare la PFCDL. Il processo
degenerativo di questa via potrebbe spiegare un progressivo peggioramento dei
sintomi ed uno stato crescente di deficit in alcuni pz schizofrenici. La
carenza potrebbe essere rappresentata sia da un deficit primario di dopamina
che da un deficit secondario ad un'inibizione dovuta ad un eccesso di
serotonina in questa via.
Questa
via parte dalla substantia nigra del tronco cerebrale e proietta verso i gangli
della base dello striato: tale via è parte del sistema nervoso extrapiramidale
e controlla i movimenti. I deficit di DA in questa via provocano disturbi del
movimento; l'iperattività in questa via, invece, provoca disturbi ipercinetici
quali la corea, le discinesie e i tic. Un blocco cronico dei recettori D2 in
questa via può portare ad un disturbo ipercinetico del movimento noto come
discinesia tardiva indotta da neurolettici.
È
caratterizzata da neuroni che proiettano dall'ipotalamo verso l'ipofisi
anteriore. Normalmente questi neuroni sono attivi e inibiscono il rilascio di
prolattina. Nel post partum la loro attività e ridotta e i livelli di
prolattina possono aumentare così da consentire l'allattamento. Livelli elevati
di prolattina sono associati all'amenorrea e problemi connessi alle disfunzioni
sessuali: tali problemi possono verificarsi a seguito del trattamento con
farmaci antipsicotici
Una
delle ipotesi principali per l'eziologia della schizofrenia è che la malattia
abbia origine da anomalie nello sviluppo cerebrale che avrebbero luogo nel feto
sin dal momento del concepimento durante le fasi precoci della selezione e
della migrazione dei neuroni. Tuttavia i sintomi non si manifestano finché il
cervello non revisiona attentamente le proprie sinapsi nell'adolescenza, ed è
questo processo di ristrutturazione che smaschera i problemi di selezione e
migrazione dei neuroni fino ad allora nascosti. A conferma di questa teoria è
l'alta correlazione tra schizofrenia e storia fetale di complicanze ostetriche
(infezioni virali, denutrizione, processi autoimmuni ed altri problemi come
quelli materni). Un insulto cerebrale in una fase precoce dello sviluppo
cerebrale, contribuirebbe a causare la schizofrenia. Nella schizofrenia,
possono essere presenti anche problemi con le proteine coinvolte nella matrice
strutturale delle sinapsi: ciò determinerebbe un ridotto numero di vescicole
sinaptiche, formazione di sinapsi aberranti e ritardi o riduzioni nella
formazione delle sinapsi. Riguardo alla genetica alla base di tale disturbo, le
cause non sarebbero ascrivibili a singole alterazioni in un singolo locus
genetico del DNA. Piuttosto anomalie genetiche multiple contribuirebbero alla
suscettibilità della schizofrenia, e forse solo se sono presenti anche fattori
ambientali critici. Si ritiene che vari geni e i loro prodotti genici agiscano
insieme a fattori ambientali nel determinare la schizofrenia. Sarà importante
determinare come questi prodotti genici partecipino nel mediare i sintomi della
schizofrenia, perchè in tal modo si potrà trovare un razione biochimico per prevenire o
interrompere queste anomalie (interferendo con la trascrizione genica,
bloccando l'azione di prodotti genici non desiderati).
E'
stato ipotizzato che durante il corso della malattia possa determinarsi un
processo neurodegenerativo con perdita progressiva della funzione neuronale. La
schizofrenia progredisce da 1 stadio asintomatico, verso una fase prodromica di
bizzarria e sintomi negativi (tra i 20 e
i 30 anni) e poi vi è la fase attiva della malattia tra i 30 e i 40 anni, con
sintomi positivi distruttivi e frequenti ricadute. Infine vi è un livello
pressocchè stabile di scarso funzionamento sociale e di sintomi positivi e
negativi, con un notevole allontanamento dal funzionamento di base. Non vi è
necessariamente un peggioramento continuo, ma è possibile che il pz in questo
periodo diventi progressivamente resistente al trattamento farmacologico: ciò
suggerirebbe la presenza di qualche processo neurodegenerativo.
Si
ritiene che gli eventi neurodegenerativi della schizofrenia possano essere
mediati da un'eccessiva azione del nt glutammato, eccitossicità. L'ipotesi
eccitotossica della schizofrenia propone che i neuroni degenerino a causa
dell'eccessiva neurotrasmissione eccitatoria a livello dei neuroni
glutammatergici.
SINTESI
DEL GLUTAMMATO (GLU). Il ruolo principale del GLU consiste nella sintesi di
proteine. Quando viene usato come nt, viene sintetizzato a partire dalla
glutammina, la quale viene trasformata in GLU, ad opera dell'enzima
glutamminasi. La glutammina può essere ottenuta anche dalle cellule adiacenti i
neuroni: in questo il GLU della riserva metabolica della glia viene convertito
in GLU da essere usato come nt attraverso 2 fasi: conversione del GLU in
glutrammina nella cellula gliale attraverso la glutamminasi; trasporto della
glutammina verso il neurone dove sarà convertita in GLU da usare come nt.
RIMOZIONE
DEL GLU. Gli effetti del GLU sono interrotti non dalla sua degradazione
enzimatica, ma dalla rimozione di 2 pompe di trasporto: una è un trasportatore
presinaptico del GLU che opera come tutti gli altri trasportatori, l'altra è
localizzata nella glia adiacente i neuroni e rimuove il GLU dalle sinapsi,
interrompendone l'azione.
RECETTORI
DEL GLU. Ve ne sono di vari, tipi tra cui l'NMDA, l'AMPA, l'acido kainico e un
recettore metabotropico che si occuperebbe della mediazione di segnali
elettrici di lunga durata nel cervello attraverso un processo noto come
potenziamento a LT (importante per la funzione mnesica). I primi 3 sono
probabilmente legati ad un canale ionico, l'ultimo, invece, appartiene alla
famiglia dei recettori legati alle proteine G. Il complesso NMDA GLU-canale per
il calcio ha multipli siti recettoriali che circondano il canale ionico e che
agiscono come modulatori allosterici. Uno dei siti di modulazione è quello per
il nt glicina; un altro, invece, modulatorio inibtorio localizzato all'interno
del canale ionico, viene definito sito per la PCP (si lega ad esso il farmaco
PCP). Dal momento che la PCP induce uno stato simil-schizofrenico, è possibile
che i sintomi schizofrenici possono essere modulati da una disfunzione nel
sottotipo NMDA dei recettori per il GLU. Antagonisti per ognuno dei vari siti
modulatori che circondano il complesso NMDA-canale per il calcio e chiudere il
canale, ed essere candidati come farmaci neuroprotettivi.
ECCITOSSICITA'
E SISTEMA DEL GLU NELLE MALATTIE NEURODEGENRATIVE QUALI LA SCHIZOFRENIA. Il
sottotipo NMDA media la normale neurotrasmissione eccitatoria, nonché
l'eccitotossicità neurodegenerativa nello spettro di attività eccitatoria del
GLU: il normale processo di neurotrasmissione eccitatoria sfuggirebbe al
normale controllo fisiologico e il neurone verrebbe eccitato sino alla morte.
Vi sarebbe una attività glutammatergica senza sosta che porterebbe l'apertura
dei canali per il calcio: ciò attiverebbe enzimi intracellulari che attivano i
radicali liberi: l'eccesso di radicali liberi porterebbe azioni tossiche per la
cellula e di conseguenza, morte cellulare.
Sono
in via di sviluppo terapie sperimentali basate su GLU, eccitotossicità e
radicali liberi. E' possibile che antagonisti del GLU possano avere azione
neuroprotettiva. Alcuni farmaci agiscono come scavenger, spazzini, dei radicali
liberi e hanno la proprietà di chimica di neutralizzare i radicali liberi
rimuovendoli (la vitamina E è un debole scavenger); altri farmaci sono detti
lazaroidi, poiché in grado di resuscitare i neuroni dalla morte. Infine, un
ultimo approccio si basa sul blocco del sistema enzimatico necessario perchè
avvenga l'apoptosi, il sistema delle caspasi.
Si
pensa che si potrebbe provare a somministrare farmaci antipsicotici atipici
durante la fase prodromica della schizofrenia, però innanzitutto non vi sono
chiare evidenze del fatto che un intervento precoce porti esiti migliori, e
poi, in quella fase della malattia la diagnosi non è certa.. D'altra parte
esiste una possibilità che un intervento precoce modifichi la storia naturale
della malattia, questi pz risponderebbero meglio alla successiva terapia.
Alcuni sono addirittura arrivati all'idea di estendere il trattamento anche a
parenti di primo grado di soggetti schizofrenici. In conclusione, possiamo dire
che la schizofrenia può essere il risultato di un processo neurodegenerativo
superimposto ad un anomalia dello sviluppo nervoso. I neuroni bersaglio del
processo neurodegenerativo comprendono
le proiezioni DA alla corteccia e le proiezioni GLU dalla corteccia verso le
strutture sottocorticali; è anche possibile che in queste strutture si
verifichi eccitotossicità quando vengono prodotti i sintomi positivi durante le
ricadute psicotiche.
POSSIBILI CAUSE DELL'ATTACCO DI PANICO
Un attacco di panico (AP) è un episodio improvviso di terrore inaspettato accompagnato da una serie di sintomi fisici. I sintomi associati sono paura, ansia e ideazione catastrofica; i sintomi fisici possono essere neurologici, gastrointestinali, cardiaci e polmonari. Caratteristica di questi pz è l'evitare situazioni ansiogene che precedentemente sono sfociate in 1 AP. 1 AP dura da 5 a 30 minuti con un picco sintomatico medio di 10 min; gli AP possono manifestarsi anche durante il sonno. Possono essere inattesi o attesi (riconducibili ad una situazione): è proprio questa distinzione che differenzia l'AP dal disturbo da AP: quest'ultimo è caratterizzato da AP inattesi ricorrenti a cui segue almeno un mese di ansia persistente per il ricorrere di nuovi attacchi. Circa il 2% della popolazione soffre di AP e in genere esordisce in tarda adolescenza o in età adulta, l'esordio dopo i 45 anni è raro; sembra che il 15/20% dei pz che soffra di AP ha parenti con tale disturbo, e vi è una concordanza del 40% per il disturbo da AP nei gemelli monozigoti; sembra infine che vi sia una percentuale di suicidio associata ad AP pari a quella dei pz affetti da depressione maggiore.
NORADRENALINA.
Sembra che caratteristico dell'AP sia un iniziale eccesso di NA; quest'ipotesi
è avvolarata dall'osservazione che molti pz AP siano ipersensibili agli
antagonisti alfa 2. Anche la caffeina può indurre panico: essa è un antagonista
dell'adenosina e può essere sinergica alla NE: quando a un pz AP viene
somministrato l'equivalente in caffeina di 4/6 tazze, puòsperimentare un AP. I pz
affetti da AP inoltre hanno una risposta fisiologica attenuata agli agonisti
adrenergici post-sinaptici, forse come conseguenza di 1 sistema NE iperattivo:
vi potrà pertanto essere una disregolazione nel sistema NE, con modificazioni
nella sensibilità nei neuroni NE e dei loro recettori, i quali alterano il
proprio funzionamento fisiologico e contribuiscono alla fisiopatologia dell'AP.
GABA.
La maggior enfasi è stata posta sull'indagine della responsività dei recettori
per le benzodiazepine nei pz affetti da disturbo da AP. E' possibile, poi, che
il cervello produca una scarsa quantità di agonista naturale per le
benzodiazepine o che il cervello produca un eccesso di agonisti inversi con
effetto ansiogeno, facendo si che i pz con disturbo da AP sperimentino maggiore
ansia e AP. Alcuni dati suggeriscono un'anomalia per il recettore per le
benzodiazepine, avvalorando pertanto quest'ipotesi dell'agonista inverso. Ciò
sarebbe provato da studi che suggeriscono che il flumazenil, che in soggetti
normali, non provoca alcun sintomo comportamentale, nei pz AP, agisca come
agonista parziale inverso provocando AP.
COLECISTOCHININA
(CCK). Se infuso in pz con disturbo da AP provoca 1 maggior numero di AP: ciò
suggerisce una maggiore sensibilità, in questi pz, del recettore per le CCK, il
CCK-B. Sfortunatamente nelle prime ricerche, gli antagonisti del CCK-B non sono
sembrati efficaci per il disturbo da AP.
IPERSENSIBILITA'
ALL'ANIDRIDE CARBONICA E AL LATTATO. Altra teoria riguardante l'AP sostiene che
esso sia iòl risultato di anomalie nella funzione respiratoria: tale teoria si
basa sull'osservazione che i pz sperimentino più facilmente AP dopo l'esercizio
fisico, quando respirano anidride carbonica.
TEORIA
DELL'ALLARME DA FALSO SOFFOCAMENTO. Questa teoria propone che i pz AP abbiano
nel tronco cerebrale un dispositivo di controllo per il soffocamento che
funziona male, interpreta male i segnali e si attiva in modo errato, scatenando
un falso allarme da soffocamento.
OSSERVAZIONI
NEUROANATOMICHE. Studi di PET hanno mostrato possibili anomalie delle
proiezioni dell'attività neurale verso l'ippocampo; altri studi suggeriscono
che il locus coeruleus ha un certo ruolo nella modulazione della vigilanza
dell'ansia e della paura. Così l'ipersensibilità del sistema limbico è stata
presa in considerazione come possibile eziologia degli AP. E' stato visto
inoltre che pz con foci epilettici temporali sperimentino sintomi simili al
panico: si potrebbe vedere il panico come l'equivalente di un'attivazione
neuronale epilettiforme in parti del cervello che mediano le emozioni, mentre
la vera epilessia può coinvolgere localizzazioni cerebrali che mediano i
movimenti e gli stati di coscienza piuttosto che stati emotivi come ansia e
panico. E' da dire tuttavia che nei pz AP non sono state rilevate anomalie EEG.
Poiché vi sono proiezioni NE dal locus coeruleus verso l'ippocampo, è possibile
che una sregolazione di queste proiezioni, possa spiegare le anomalie
neurofisiologiche ipotizzate durante gli AP.
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