L'empatia può essere definita come la capacità di
comprendere gli stati mentali altrui facendo riferimento alla propria
esperienza (Docety e Moriguchy, 2007). Il concetto di empatia riguarda sia
aspetti affettivi, la condivisione di aspetti emotivi e la condivisione di
emozioni, che aspetti cognitivi, la comprensione intellettuale di esperienze
emotive di altre persone (Davis, 1980). Gli aspetti cognitivi sono strettamente
correlati al concetto di “teoria della mente”, la capacità di inferire gli
stati mentali altrui sulla base dei propri (Premack e Woodruff, 1978). E'
comunque da sottolineare che, propedeutico al concetto di teoria della mente, è
la capacità di distinguere sé dall'altro, la consapevolezza che gli altri sono
diversi da sé, hanno una loro stabilità e continuità nel tempo e per questo
vivono emozioni e sentimenti diversi dai propri; al fine di sviluppare una
teoria della mente, inoltre, sarà rilevante la comprensione di due stati
mentali, quello dei desideri e quello delle credenze e la consapevolezza che la
mente sia un'attiva interprete di informazioni (Wellman, 1990), cioè che le
nostre percezioni non sono basate unicamente sulle informazioni ambientali. In
assenza di una teoria della mente la previsione, la spiegazione e il controllo
del comportamento sarebbero impossibili e il mondo apparirebbe caotico e
avverrebbe una totale rottura della comunicazione, cosa che succede in alcune
condizioni psicopatologiche come la schizofrenia, l'autismo e alcune malattie
genetiche come la sindrome di Williams. Di conseguenza, una piena comprensione
dello sviluppo delle capacità empatiche potrebbe avere importanti implicazioni
dal punto di vista terapeutico. Verranno illustrati, inoltre, in questo lavoro
alcune metodologie oggi utilizzate per la valutazione dello sviluppo delle
capacità empatiche del bambino e quelli che possono essere dei fattori di
rischio e protettivi affinchè i bambini sviluppino una teoria della mente:
fattori ambientali, come ad esempio la qualità dell'attaccamento sviluppato con
il caregiver possono assumere una certa rilevanza a tal proposito. Verranno,
inoltre, citati alcuni studi che dimostrano come lo sviluppo delle capacità
empatiche si prolunga fino all'età adulta.
A QUANTI ANNI SI SVILUPPA UNA TEORIA DELLA MENTE?
Per rispondere a tale domanda attualmente sono
utilizzati test in cui i bambini devono mostrare che comprendono che la realtà
può essere rappresentata in modo erroneo e quindi che la mente costruisce
attivamente le rappresentazioni mentali: i bambini devono saper conservare in
memoria due tipi di informazioni: una circa la realtà ed uno circa quella che
può essere una rappresentazione alternativa della realtà, una falsa credenza.
Un test che va ad indagare la comprensione della falsa credenza è il test di
“trasferimento inaspettato” (Wimmer e Perner, 1983). Il test consiste nel
racconto di una storia in cui un bambino chiamato Maxi mette una barretta di
cioccolata in un cassetto verde che poi viene spostata, da un terzo nella
storia, dal cassetto verde al cassetto blu. Al bambino si chiede dove Maxi
andrà a cercare la cioccolata: i bambini al di sotto di quattro anni in genere
rispondono che Maxi cercherà la cioccolata nel cassetto blu, prevedono il
comportamento di Maxi sulla base delle loro credenze, invece che sulla base
della falsa credenza di Maxi: tale errore è detto “errore realistico”. I
bambini più grandi invece prevedono che Maxi agirà in accordo con la sua falsa
credenza. Altro test utilizzato per indagare lo sviluppo della teoria della
mente del bambino è il test “apparenza realtà” (Flavell e Green, 1983): vengono
loro mostrati alcuni stimoli ambigui come una spugna dipinta in modo da
sembrare un sasso: i bambini al di sotto dei quattro anni, quando veniva loro
chiesto cosa gli sembrasse, rispondevano comunque che si trattava di una
spugna: ciò dimostrerebbe che i bambini tendono a focalizzarsi sulla realtà a
spese dell'apparenza. Diverse teorie hanno cercato di spiegare come mai i
bambini piccoli falliscano in tali compiti: ad esempio alcuni autori sostengono
che i bambini ritengono erroneamente che le informazioni si copiano
direttamente dalla mente, le informazioni provenienti dall'ambiente esterno vengono
convertite nella loro forma originaria in una rappresentazione mentale della
realtà; non concepiscono il fatto che l'uomo interpreti gli input percettivi e
quindi che possono essere vittima di informazioni ingannevoli e ritenere false
credenze. I bambini sembrano in grado di fare inferenze, ma non arrivano a
comprendere che altri possano farlo: sembrano quindi capaci di fare inferenze,
ma che non abbiano consapevolezza metacognitiva dei processi coinvolti nella
risoluzione del problema (Wimmer e Perner, 1988). Raggiunti i quattro anni i
bambini realizzerebbero, invece, che che la mente sia un interprete attivo
degli input ambientali e quindi che da tale processo può risultare un
informazione distorta e imprecisa (Perner e Davis, 1991). Secondo i teorici
della teoria, la comprensione della mente implica cambiamenti qualitativi del
sistema rappresentazionale organizzati in senso sequenziale: a due anni la
mente si alimenta di percezioni e desideri senza che sia in grado di
comprendere le credenze (comprensione di tipo non rappresentazionale); a tre
anni riescono a comprendere stati rappresentazionali come le credenze. Infine
il bambino riorganizza la propria teoria per spiegarsi come mai le ciò che le
persone credono o pensano è governato dalle loro rappresentazioni della realtà
e non dalla realtà stessa. In conclusione, quattro anni sembrerebbe l'età in
cui in cui avviene lo sviluppo della teoria della mente. Come accennato in
precedenza, è da considerare il fatto che alcuni fattori individuali possono far
si che l'esordio di tale tappa dello sviluppo del bambino venga anticipato o
posticipato.
DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLO SVILUPPO DELLA TEORIA
DELLA MENTE
Come accennato precedentemente, vi sono alcuni fattori
che possono ritardare ed ostacolare lo sviluppo della teoria della mente nei
bambini. E' stato ad esempio dimostrato che bambini cresciuti nelle tribù del
Camerun non sapevano risolvere il test di Maxi prima dei 5/6 anni (Avis e
Harris, 1991). Diversi fattori sociali influirebbero sulla capacità di
acquisire la teoria della mente, in primis l'interazione sociale: è stato ad
esempio dimostrato che l'interazione con gli adulti favorisce lo sviluppo della
teoria della mente (Lewis et al, 1996) e che vi è una correlazione tra il
vivere insieme a fratelli maggiori e performance corrette al test di Maxi in
età più precoci rispetto alla norma. L'interazione con gli altri probabilmente
accelererebbe l'acquisizione di una teoria della mente perchè porterebbe a
confrontarsi con molte situazioni in cui i propri punti di vista e i bisogni
sono in conflitto con quelli di altre persone. Anche lo sviluppo del linguaggio
appare correlato a quello della teoria della mente: è stato dimostrato che i
bambini sordi (non esposti alla lingua dei segni fin dalla nascita) mettono in
atto performance corrette ai test di teoria della mente significativamente più
tardi rispetto ai bambini sordi che vengono esposti alla lingua dei segni sin
dalla nascita (Woolfe e Siegel, 2002) e che soggetti di sesso femminile, che
apprendono il linguaggio più precocemente, superano i test di teoria della
mente prima rispetto ai ragazzi. E' stata rilevata anche una relazione tra
comprensione della falsa credenza e partecipazione a conversazioni familiari
aventi come oggetto gli stati emotivi. Altri fattori essenziali in tali
processo sembrerebbero la sensibilità e la responsività materna: un ruolo di
primaria importanza, infatti, sembrerebbe essere giocato dalle precoci
relazioni con le figure di attaccamento.
SICUREZZA E ABILITA' DI MENTALIZZAZIONE
Si suppone che i bambini sicuri acquisiscano
normalmente le capacità di mentalizzazione poiché hanno avuto una maggiore
esperienza nella descrizione e spiegazione del comportamento degli individui.
In uno studio che voleva indagare la relazione tra funzione metacognitiva e
sicurezza dell'attaccamento, la Main ha affermato l'importanza delle esperienze
infantili precoci con la figura materna per lo sviluppo di un'adeguata
conoscenza metacognitiva e che le esperienze vissute con i genitori possono
modificare non solo i contenuti della mente infantile, ma anche la capacità di
operare su di essi. I bambini con attaccamento insicuro non sarebbero in grado
di rivolgere l'attenzione all'ambiente in quanto impegnati a monitorare la
presenza fisica e l'accessibilità psicologica di chi si prende cura di loro.
Uno studio di Fonagy ha rilevato una forte relazione tra sicurezza e
comprensione della mente dell'altro, non affrontando però la questione se la
sicurezza infantile sia un elemento predittivo delle abilità di mentalizzazione
dopo i 3 anni, che in seguito è stato rilevato da un altro studio. Questo
lavoro sperimentale aveva due ipotesi di base: scoprire se i bambini sicuri
all'età di 4 anni abbiano maggiori probabilità di riuscire nel compito dello
“spostamento inaspettato”; la prestazione migliore dei bambini sicuri si nota a
5 anni in compiti che implicano 1 comprensione più complessa della mente
dell'altro (come la relazione tra emozione e credenza). Ai bambini di 4 anni è
stato somministrato il compito dello spostamento inaspettato; a quelli di 5
anni sono state somministrate anche prove di abilità cognitive generali, oltre
al compito di identificazione della figura e a quello della falsa credenza e
della emozione (dove il soggetto non solo deve capire qual è la convinzione di
1 personaggio, ma anche integrare quest'informazione con ciò che sa delle sue
preferenze e desideri in modo da predirne la risposta emotiva. Si è visto che a
4 anni l'83% dei bambini sicuri riesce facilmente nel compito dello spostamento
inaspettato (quelli insicuri, solo il 33%). Anche nel compito di
identificazione della figura sono state rilevate differenze significative (le
prestazioni dei bambini sicuri erano migliori), significatività che non è stata
rilevata nel compito della falsa credenza e dell'emozione. Si può inoltre dire
che a 5 anni i bambini sicuri riescono a comprendere con maggiore facilità il
punto di vista di un'altra persona. Quali sono i fattori che avvantaggiano i
bambini sicuri nelle abilità di mentalizzazione? In primis, l'acquisizione precoce del
linguaggio, conversare su oggetti fisicamente presenti, significa fare
esperienza di altri orientamenti nei confronti della realtà. Altri fattori
predittivi sembrano essere la capacità di gioco simbolico, la sensibilità e la
capacità materna di affidare gradualmente la responsabilità dei compiti della
vita quotidiana ai figli. Anche l'utilizzo da parte della madre di un
linguaggio ricco di termini mentalistici è 1 buon predittore. In conclusione,
le influenze sociali hanno un ruolo rilevante nella capacità di
mentalizzazione, soprattutto il riconoscimento da parte della madre del proprio
figlio come agente mentale. Vi sono tre possibilità in cui il modo materno di
considerare il proprio figlio come
agente mentale può influenzare la sua capacità di mentalizzazione: 1) può
sostenere l'acquisizione da parte del proprio figlio di 1 teoria della mente
relativa alla propria realtà culturale; 2)il linguaggio inerente stati mentali
permette l'acquisizione sa parte del bambini di concetti come credenze e
desideri, che giocano un certo ruolo nel successivo sviluppo di una teoria
della mente; 3) un interazione reciproca caratterizzata da sensibilità
consentirà un interiorizzazione di scambi di natura dialogica che sosterranno
la capacità del bambino di integrare tra loro diversi punti di vista sulla
realtà.
LO SVILUPPO DELL'EMPATIA DALL'INFANZIA ALL'ETA' ADULTA
Diversi studi compiuti tramite questionari e procedure
comportamentali indicano che le capacità empatiche continuino a migliorare dopo
l'infanzia. Sebbene l'esistenza dei neuroni specchio non sia ancora stati
confermata su esseri umani, studi di fRMI hanno riportato l'attivazione del
giro frontale inferiore (IFG) e della corteccia parietale posteriore, sia
durante l'esecuzione che l'osservazione di comportamenti diretti a un
obiettivo. L'attivazione del IFG durante il processamento di stimoli dal
contenuto emotivo (nel caso dello studio che verrà descritto in seguito, volti)
è positivamente correlata con la messa in atto di risposte empatiche. E'
comunque sconosciuto come il sistema dei neuroni specchio possa svilupparsi con
l'età; è stato ipotizzato che tale sistema, anche se innato possa continuare a
svilupparsi con l'età (Killner e Blackmore, 2007). Diversi studi hanno rilevato
cambiamenti età-correlati nella rappresentazione neurale di abilità
sociali-cognitive, soprattutto focalizzandosi sulla teoria della mente
(Moriguchi et al., 2007): questi studi hanno rilevato che le strutture
cerebrali implicate nella teoria della mente (corteccia prefrontale mediale,
mPFC, solco temporale e polo temporale) cambiano durante l'infanzia e
l'adolescenza. In particolare è stato rilevato un decremento nell'attivazione
della mPFC dall'infanzia all'età adulta (Blackemore et al., 2007). Altri studi
hanno rilevato cambiamenti età-correlati nell'attivazione neurale del precuneo,
durante la valutazione di stimoli dal contenuto emotivo (Kobayashi, 2008;
Pfeifer, 2007). Dato che ci sono cambiamenti età-correlati nelle strutture
neurologiche implicate nella teoria della mente, dovremmo aspettarci che tali
cambiamenti sussistano anche riguardo le capacità empatiche, visto lo stretto
legame tra questi due costrutti. L'obiettivo di questo studio, dunque, era
indagare i cambiamenti neurali età-correlati strutture cerebrali implicate
nella risposta empatica tramite fRMI. Nello studio sono stati inclusi soggetti
tra 8 e 27 anni che erano sottoposti a due condizioni sperimentali:
1)
inferire lo stato
emotivo dalla fotografia di una persona attraverso la sua espressione facciale;
2)
giudicare la
propria risposta quando confrontata con l'espressione del viso di altre
persone.
Hanno partecipato allo studio 47 soggetti sani, tra
gli 8 e i 27 anni che non soddisfavano i criteri per la diagnosi di disturbi
psichiatrici e neurologi: le abilità empatiche dei soggetti sono state preliminarmente valutate tramite opportuni
strumenti standardizzati, la “Griffith empathy measure” e la “Parent
Report Scale”. Come stimoli sono stati utilizzati volti felici, neutri e
tristi o arrabbiati. Le espressioni tristi e felici sono state utilizzate,
poiché ritenute adeguate ad evocare reazioni empatiche (Wild et al., 2001). Dal
momento che le risposte empatiche sono più facilmente evocate quando la
controparte è simile a se stessi (ad esempio per genere od età), sono stati
utilizzati stimoli facciali che potevano essere adattati in funzione dell'età
del soggetto lasciando invariate tutte le altre caratteristiche dei volti
(espressione emozionale, intensità dell'espressione emozionale etc.). In entrambi
i compiti, sia nella condizione “self” che nella condizione “other” , i volti,
felici e tristi, erano presentati ai soggetti e veniva chiesto loro di
giudicare la loro stessa risposta emotiva allo stimolo. Le opzioni di risposta
allo stimolo erano tre: “triste”, “neutra” o “felice”. Innanzitutto è stato
rilevato un aumento età-correlato dell'attività neurale nel FG e nel IFG,
indipendentemente dal fatto che il soggetto attribuisse emozioni a se stesso o
agli altri. E' stato rilevato, inoltre, durante il compito “self” che
l'attività delle strutture parietali destre decrementa con l'età. L'attività
del IFG sinistro, conosciuto come uno dei principali componenti dei neuroni
specchio, aumenta con l'età durante il compito “self” se confrontato con il compito
“other”. E' stato suggerito che i neuroni specchio possano costituire il
substrato neurale della comprensione di emozioni altrui attraverso un
meccanismo di simulazione interna (Iacoboni e Mazziotta, 2007). L'attivazione
dei neuroni specchio negli adulti aumenterebbe come una funzione legata
all'expertise. Si ritiene che che l'aumento dell'attivazione del IFG con l'età
possa essere dovuto ad una maggiore esperienza acquisita durante interazioni
socio-emozionali. Gauthieret al. (1999) hanno evidenziato che l'attivazione del
IFG aumenta al crescere dell'expertise visivo; di conseguenza, si suggerisce
che la maggiore attivazione del IFG di partecipanti più anziani, in rapporto ai
più giovani, rifletta la maggiore esperienza ed expertise nell'estrarre informazioni
rilevanti da stimoli dal forte contenuto emotivo. Durante la condizione
sperimentale “self” i soggetti più giovani, hanno mostrato maggiore attivazione
del precuneo destro, del IFG e delle strutture parietali destre: questo dato fa
pensare che i più giovani si basano maggiormente su processi auto-referenziali
quando valutano la loro risposta emozionale agli stimoli facciali, suggerendo
che vi siano differenze individuali età correlate nella risoluzione di tale
compito. Tali risultati indicano che questi cambiamenti nello sviluppo sono
accompagnati da cambiamenti nell'attivazione di strutture parietali dx,
coinvolte nella cognizione auto-referenziale. Diversamente da molti altri
studi, inoltre, in questo studio non sono stati rilevati decrementi età-correlati,
nell'attivazione della mPFC e altro dato interessante è che tali cambiamenti
non son stati rilevati neanche nell'attività amigdaloidea. In conclusione,
questo lavoro sperimentale è stato il primo a dimostrare cambiamenti
età-dipendenti nelle rappresentazioni neurali dell'empatia dall'infanzia alla
prima età adulta. La maggiore attivazione del IFG e delle strutture frontali
coinvolte nelle risposte empatiche in soggetti di età più avanzata,
rifletterebbe la maggiore esperienza acquisita durante le numerose interazioni
socio-emozionali. L'attivazione età-correlata delle strutture parietali destre
può riflettere differenze di sviluppo nelle strategie cognitive atte alla
valutazione della propria risposta a emozioni altrui.
ABILITA' EMPATICHE IN PAZIENTI SCHIZOFRENICI
Da quanto detto fin'ora non vi è una singola area
cerebrale implicata nelle abilità empatiche, più strutture sarebbero implicate
in tale processo,: lobi temporali, giunzione temporo-parietale, mPFC e
corteccia cingolata anteriore. L'abilità cognitiva inerente la rappresentazione
di stati mentali è in genere detta teoria della mente (Premack e Woodruff,
1978), mentre l'abilità implicata nella condivisione e nell'inferenza di stati
mentali altrui è detta empatia (Lawrence et al, 2004). Questi due costrutti
sembrano essere correlati all'attivazione di aree cerebrali simili. I pazienti
schizofrenici sembrerebbero avere problemi nella rilevazione di stati mentali
altrui, le credenze, i percetti e le emozioni e il grado di compromissione di
tali abilità sembrerebbe roflettere dal grado di severità della patologia, il
grado di compromissione delle funzioni esecutive e più in generale il grado di
destrutturazione cognitiva. Queste anormlità sono state proposte essere
sottostanti a specifici sintomi delle psicosi, come allucinazioni uditive,
deliri di persecuzione, disturbi del pensiero e sintomi negativi (Frith, 1992).
Diversi lavori sperimentali si sono concentrati sul cercare di comprendere come
mai questi pazienti avessero un deficit la sfera empatica: è stato dimostrato
che i pazienti schizofrenici avevano attivazioni ridotte nel IFG e (Russell et
al., 2000) e nella mPFC sinistra (Lee et al., 2006). Altri studi hanno
dimostrato una riduzione nella densità e nel volume della materia grigia in pazienti
schizofrenici (Honea et al., 2009), suggerendo quindi che alla base delle
performance anomale vi fosse un processo degenerativo. L'obiettivo del presente
studio era indagare attraverso fRMI i correlati anatomici di teoria della mente
ed empatia, attraverso fRMI, in soggetti schizofrenici. Era stato ipotizzato
che le performance di soggetti schizofrenici fossero significativamente diverse
rispetto a quelle dei soggetti di controllo e sarebbero anche differenti i
livelli di attivazione delle aree cerebrali precedentemente menzionate e che
queste aree avessero differenti volumi di materia grigia nei due campioni. Sono
stati sottoposti a quest'esperimento 24 pazienti schizofrenici cronici e 20
soggetti di controllo della stessa età. E' stata inoltre valutata la severità
della sintomatologia di tali pazienti tramite una scala di misura, il PANSS. E'
stato utilizzato un paradigma di sperimentale in cui venivano mostrati ai
soggetti dei fumetti nei quali veniva raccontata una breve storia. Vi erano 4
categorie di storie: una la cui comprensione implicava l'applicazione della
teoria della mente, in cui il soggetto doveva inferire le intenzioni del
protagonista della storia; una storia inerente le l'empatia affettiva, che per essere compresa richiedeva ai partecipanti
di empatizzare con il protagonista della storia; due condizioni sperimentali di
controllo basate la cui comprensione richiedeva la padronanza di della
causalità fisica. I pazienti mettevano in atto prestazioni peggiori rispetto ai
controlli in entrambi i compiti. A livello neurologico sono state rilevate
differenze significative nelle seguenti regioni: lobo parietale posteriore
destro, giunzione temporo-parietale sinistra e nella mPFC. Nel lobo temporale
superiore è stata rilevata una diminuzione del volume della sostanza grigia.
Tra tutte queste aree cerebrali, l'area in cui è stata rilevata una differenza
maggiormente significativa è il giro temporale superiore destro: i pazienti
mostravano in quest'area un'attivazione significativamente maggiore rispetto ai
controlli nel compito di teoria della mente. In questa regione i pazienti
mostravano inoltre una riduzione significativa della sostanza grigia,
suggerendo suggerendo che le differenze nei due compiti sono correlate a
specifiche anomalie strutturali. Nel compito inerente l'empatia, invece, è
stata rilevata una maggiore attivazione del giro temporale superiore destro.
Questi risultati sono in accordo con quelli di altri studi che hanno dimostrato
anomalie sia qualitative che quantitative in queste regioni e altri che hanno
rilevato la distruzione delle connessioni di sostanza bianca tra lobi temporali
mediali e regioni neocorticali. In conclusione, l'appiattimento affettivo, che
è uno dei sintomi maggiormente prevalenti in questa patologia, può essere
spiegato in termini di regressione delle capacità del soggetto di
“empatizzare”, che a sua volta si traduce in una carenza di comunicazione
emotiva; tale alterazione può anche essere spigata in termini di compromissione
delle aree cerebrali riportate da questo lavoro sperimentale.
AUTISMO
L’autismo è una condizione psicopatologica che si
inserisce nell'ambito dei “disturbi pervasivi dello sviluppo”; il fenotipo
comportamentale di tale patologia è caratterizzato dall’alterazione di aree
alcune aree dello sviluppo: lo sviluppo della reciprocità sociale, della
capacità comunicativa. Prototipica della sintomatologia autistica è anche la
presenza di modalità ripetitive e stereotipate di comportamento. Si delineano 3
domini principali in cui si apprezzano alterazioni e deviazioni, che
considerate congiuntamente, configurano il disturbo autistico.
Le anomalie delle interazioni sociali sono il nucleo
principale e specifico dell’autismo,e richiedono quindi la maggiore attenzione,
le alterazioni delle competenze comunicative associate a diversi tipi di
comportamenti ripetitivi indirizzano la diagnosi nelle fasi precoci. Alla base
dei principali deficit e dei disturbi dello spettro autistico,sono considerate
rilavanti alcune anomalie dello sviluppo cognitivo ed emotivo; il riferimento è
alla teoria della mente ,secondo cui sarebbe presente una specifica difficoltà
nel comprendere e interpretare il modo di pensare altrui. Sarebbe presente
un’incapacità di comprendere gli stati mentali che di conseguenza limiterebbe la
reciprocità sociale. La difficoltà di comprensione degli stati emotivi altrui è
da considerarsi in questo ambito: la scarsa empatia non permetterebbe di
accedere al significato emotivo condiviso che fortifica il mondo relazionale.
Si è rilevata una ridotta capacità di organizzare le informazioni,di
programmare il pensiero e quindi le azioni,e poi di spostare il focus
dell’attenzione da un argomento all’altro; da queste difficoltà deriva
un’ulteriore limitazione ad interagire con l’ambiente.
Le anomalie dello sviluppo relazionale, i disturbi del
linguaggio e i comportamenti ripetitivi sarebbero secondari alla difficoltà
primaria di interazione sociale,ma non sono ancora chiariti i reciproci
rapporti causali. Alcuni studi si sono
proposti l'obiettivo di indagare quali fossero i deficit strutturali e le
manifestazioni comportamentali che sottostanno al deficit nelle capacità
empatiche tipico dell'autismo: uno di questi è andato a indagare le performance
e i differenti pattern di attivazione neuronale tra soggetti con una diagnosi
appartenente allo spettro autistico e soggetti di controllo (Shulte-Ruther,
Greimel et al., 2011). A questi soggetti era chiesto di valutare risposte
emozionali di volti (condizione sperimentale “other-task”) e di valutare la
propria risposta emozionale (“self-task”). I soggetti autistici mettevano in
atto prestazioni paragonabili a quelle dei soggetti di controllo nella
condizione other-task, ma prestazioni significativamente peggiori nella
condizione self-task. Durante il self-task i soggetti autistici attivavano
maggiormente la mPFC e le aree frontali inferiori. I soggetti autistici
attivavano il sistema dei neuroni specchio solo nella condizione
“self-task”, rispetto ai soggetti di
controllo. Altro dato interessante è che i soggetti affetti da autismo
attivavano durante la risoluzione dei compiti la mPFC dorsolaterale,
differentemente dai soggetti di controllo che attivavano la mPFC ventrale:
l'attivazione della mPFC ventrale potrebbe alla base della “costruzione del
proprio legame emotivo con le emozioni di altre persone”; i soggetti autistici
utilizzerebbero una strategia cognitiva atipica per accedere al proprio stato
emotivo in risposta alle emozioni altrui. Tale teoria spiegherebbe una
caratteristica fondamentale dell'autismo: il fatto che il loro deficit
consisterebbe nella comunicazione emotiva e non in una carenza di emotività
L'EMPATIA DEL DOLORE: COME SI COMPONE QUESTA RISPOSTA
EMPATICA?
In studi precedenti relativi ai correlati
neurali dell’empatia del dolore,era stata individuata attività solo nelle aree
del sistema limbico, responsabili dell’esperienza emotiva dolorosa. La regione
che ha attirato maggiormente l’attenzione degli studiosi a questo riguardo,è la
corteccia cingolata anteriore (ACC). In essa vengono elaborati, a livello
inconscio, i pericoli ed i problemi a cui un individuo è soggetto nel normale
decorrere delle proprie esperienze. Può essere considerata come una sorta di
sistema d’allarme silenzioso: riconosce il conflitto in essere quando la
risposta del soggetto è inadeguata rispetto alla situazione. La ACC è collegata
alla regione dell’opercolo parietale e all’insula posteriore e insieme sono
deputate alla percezione ed elaborazione del dolore .Queste aree sono coinvolte
non solo nel processamento del dolore ma anche nella mediazione delle diverse
risposte che si associano ad esso.
In uno studio di Hutchison e colleghi (1999) sul singolo neurone della corteccia cingolata anteriore,è stata registrata l’attività neurale sia nell’esperienza dolorosa provata in prima persona e sia,quando questa esperienza,era solo osservata negli altri;questi neuroni quindi,con la loro attività,hanno mostrato un meccanismo di simulazione simile a quello dei neuroni specchio nelle aree motorie,pur non essendo motoneuroni,ma solo relativamente a stimoli dolorosi. Lo studio sopra descritto però non può essere preso come un campione valido,in quanto è uno studio molto limitato e non facilmente replicabile,compiuto su pazienti neurologici con elettrodi impiantati nella corteccia cerebrale e quindi non ci da la prova dell’esistenza di un processo di simulazione del dolore che bypassa il comportamento motorio associato al dolore. In sintesi,questo studio non ci dice se,insieme all’ACC e le aree limbiche ad essa associate nell’emozione del dolore,si attivano anche le aree premotorie dei neuroni specchio che,come abbiamo precedentemente discusso,si attivano simulando il comportamento motorio in relazione ad altri tipi di emozioni.
In uno studio di Hutchison e colleghi (1999) sul singolo neurone della corteccia cingolata anteriore,è stata registrata l’attività neurale sia nell’esperienza dolorosa provata in prima persona e sia,quando questa esperienza,era solo osservata negli altri;questi neuroni quindi,con la loro attività,hanno mostrato un meccanismo di simulazione simile a quello dei neuroni specchio nelle aree motorie,pur non essendo motoneuroni,ma solo relativamente a stimoli dolorosi. Lo studio sopra descritto però non può essere preso come un campione valido,in quanto è uno studio molto limitato e non facilmente replicabile,compiuto su pazienti neurologici con elettrodi impiantati nella corteccia cerebrale e quindi non ci da la prova dell’esistenza di un processo di simulazione del dolore che bypassa il comportamento motorio associato al dolore. In sintesi,questo studio non ci dice se,insieme all’ACC e le aree limbiche ad essa associate nell’emozione del dolore,si attivano anche le aree premotorie dei neuroni specchio che,come abbiamo precedentemente discusso,si attivano simulando il comportamento motorio in relazione ad altri tipi di emozioni.
Queste
aree si attivano sicuramente quando siamo direttamente sottoposti ad uno
stimolo di natura dolorosa al quale consegue una risposta motoria (per esempio
se appoggiamo una mano su un fornello,le aree motorie e premotorie,elaborano e
attivano il movimento di ritrazione della mano dalla superficie calda),ma cosa
accade nel sistema specchio quando invece osserviamo situazioni dolorose che
coinvolgono altre persone?
E’ da questo quesito che Avenanti e colleghi hanno sviluppato il loro studio.
Nell’esperimento i soggetti sono stati sottoposti al campo magnetico generato dalla TMS:questo macchinario è collegato ad una sonda che viene passata sopra lo scalpo,la quale genera un campo magnetico che induce un campo elettrico in grado di modulare l’eccitabilità della corteccia cerebrale sottostante alla scatola cranica.
Le aree corticali sottoposte a questa modulazione,erano le aree motorie dell’emisfero sinistro,e in contemporanea sono stati registrati i potenziali evocati motori di due muscoli della mano destra dell’osservatore:il primo muscolo interosseo (FDI) che favorisce il movimento della mano nella risposta allo stimolo doloroso mostrato,e l’ultimo abduttore della mano (ADM) che non svolge alcun ruolo nel movimento di risposta al dolore. L’ipotesi dei ricercatori era che mentre i soggetti osservavano immagini di stimolazioni dolorose su delle mani (aghi che pungono le mani),l’eccitabilità del muscolo del soggetto corrispondente a quello punto nell’immagine,diminuisse. La diminuita eccitabilità nel muscolo del soggetto sperimentale, implica che quel muscolo sia attivo nel momento in cui avviene l’osservazione,cioè che sia preparato a dare una risposta al dolore.
Ai soggetti sono stati mostrati tre diversi video:il primo presentava una mano punta da un ago (stimolo nocivo),il secondo era un video a fini di controllo che mostrava una mano accarezzata da un cotton fioc (stimolo non nocivo) e il terzo mostrava un pomodoro punto da un ago (stimolo inanimato).Si è visto che durante l’osservazione dello stimolo nocivo l’eccitabilità del muscolo del soggetto che corrispondeva al muscolo punto nel video,FDI,era significativamente diminuita;mentre il soggetto era sottoposto all’osservazione dello stimolo inanimato,il potenziale subiva una diminuzione di entità non significativa e infine se il soggetto guardava lo stimolo non nocivo,l’eccitabilità era di poco aumentata (ciò significa che il muscolo non era eccitato in quel momento).
I potenziali evocati motori relativi al muscolo ADM,non correlato con la risposta motoria allo stimolo mostrato,confermano la sua esclusione dalla reazione al dolore nel caso in questione;infatti l’eccitabilità di questo muscolo risulta aumentare quando quella del FDI risulta diminuire (se diminuisse significherebbe che anche questo muscolo è attivato per
E’ da questo quesito che Avenanti e colleghi hanno sviluppato il loro studio.
Nell’esperimento i soggetti sono stati sottoposti al campo magnetico generato dalla TMS:questo macchinario è collegato ad una sonda che viene passata sopra lo scalpo,la quale genera un campo magnetico che induce un campo elettrico in grado di modulare l’eccitabilità della corteccia cerebrale sottostante alla scatola cranica.
Le aree corticali sottoposte a questa modulazione,erano le aree motorie dell’emisfero sinistro,e in contemporanea sono stati registrati i potenziali evocati motori di due muscoli della mano destra dell’osservatore:il primo muscolo interosseo (FDI) che favorisce il movimento della mano nella risposta allo stimolo doloroso mostrato,e l’ultimo abduttore della mano (ADM) che non svolge alcun ruolo nel movimento di risposta al dolore. L’ipotesi dei ricercatori era che mentre i soggetti osservavano immagini di stimolazioni dolorose su delle mani (aghi che pungono le mani),l’eccitabilità del muscolo del soggetto corrispondente a quello punto nell’immagine,diminuisse. La diminuita eccitabilità nel muscolo del soggetto sperimentale, implica che quel muscolo sia attivo nel momento in cui avviene l’osservazione,cioè che sia preparato a dare una risposta al dolore.
Ai soggetti sono stati mostrati tre diversi video:il primo presentava una mano punta da un ago (stimolo nocivo),il secondo era un video a fini di controllo che mostrava una mano accarezzata da un cotton fioc (stimolo non nocivo) e il terzo mostrava un pomodoro punto da un ago (stimolo inanimato).Si è visto che durante l’osservazione dello stimolo nocivo l’eccitabilità del muscolo del soggetto che corrispondeva al muscolo punto nel video,FDI,era significativamente diminuita;mentre il soggetto era sottoposto all’osservazione dello stimolo inanimato,il potenziale subiva una diminuzione di entità non significativa e infine se il soggetto guardava lo stimolo non nocivo,l’eccitabilità era di poco aumentata (ciò significa che il muscolo non era eccitato in quel momento).
I potenziali evocati motori relativi al muscolo ADM,non correlato con la risposta motoria allo stimolo mostrato,confermano la sua esclusione dalla reazione al dolore nel caso in questione;infatti l’eccitabilità di questo muscolo risulta aumentare quando quella del FDI risulta diminuire (se diminuisse significherebbe che anche questo muscolo è attivato per
I ricercatori,per trovare un’ulteriore correlazione tra le evidenze riscontrate nell’attività cerebrale e il processo empatico del dolore,dopo l’esperimento chiesero ai soggetti di stimare il grado di intensità del dolore provato dai soggetti osservati nei video;le domande usate dagli sperimentatori per conoscere il grado di dolore assegnato dai soggetti agli stimoli,provengono dalla subscala Sensory and Affective del McGill Pain Questionnaire (MPQ).Avenanti e colleghi riscontrarono che più bassa era l’eccitabilità motoria dei muscoli dei soggetti durante l’esperimento,più alto era il grado di dolore da loro stimato; vale a dire che quanto più acutamente entravano in empatia con il dolore osservato,tanto più intensamente le loro aree motorie simulavano l’azione di ritrazione dallo stimolo nocivo.
I ricercatori sostengono che alla base del processo che prepara la risposta al dolore,ci sia un sistema di risonanza dell’esperienza dolosa che estrae dallo stimolo nocivo gli aspetti sensoriali basilari e li mappa nelle rispettive regioni corticali motorie. Queste ipotesi sono state confermate dallo studio,quindi possiamo sostenere che anche nel processo empatico relativo al dolore,la simulazione dell’azione attuata dal sistema specchio delle regioni corticali motorie,gioca un ruolo importante e che questo processo non è attuato solo dalle aree del sistema nervoso deputate alle esperienze emotive nel sistema limbico,ma necessita anche di una prospettiva motoria.
LA COMPONENTE
EMOTIVA DELLA RISPOSTA AL DOLORE
Le precedenti evidenze mettono in luce il
ruolo delle aree motorie,trovando nel sistema dei neuroni specchio,un
contributo rilevante alla risposta empatica. Quando lo stimolo nocivo non è
manifesto all’osservatore ma solo intuito o suggerito,la risposta al dolore
altrui è modulata dalle stesse componenti del sistema nervoso o la base neurale
di tale risposta, è formata dall’interazione di diversi circuiti cerebrali che
agiscono in maniera selettiva relativamente alla forma in cui si presenta lo
stimolo? In altre parole,se il comportamento emotivo degli altri rispetto al
dolore non ci è manifesto,come riusciamo a capire il loro stato d’animo?
Singer e colleghi hanno voluto chiarire proprio questo, e lo hanno fatto tramite uno studio di fRMI che mette in luce in che modo e da cosa è attivata la componente affettivo-emotiva della risposta empatica al dolore,e il suo essere indipendente dalla componente motoria, quando non assistiamo a esplicite manifestazioni di dolore.
In questa situazione sperimentale i soggetti esaminati erano coppie di coniugi o fidanzati; la donna era posta nello scanner MRI mentre il compagno era seduto accanto ed entrambi erano collegati ad un elettrodo posto sulle rispettive mani destre,attraverso il quale i ricercatori assestavano scosse elettriche. Ad entrambi i soggetti era mostrato un monitor sul quale, subito prima dell’induzione dello stimolo nocivo, appariva una freccia che indicava a quale dei due soggetti fosse diretto il seguente stimolo (la donna posta nello scanner riusciva a vedere il monitor tramite un sistema di specchi).
Singer e colleghi hanno voluto chiarire proprio questo, e lo hanno fatto tramite uno studio di fRMI che mette in luce in che modo e da cosa è attivata la componente affettivo-emotiva della risposta empatica al dolore,e il suo essere indipendente dalla componente motoria, quando non assistiamo a esplicite manifestazioni di dolore.
In questa situazione sperimentale i soggetti esaminati erano coppie di coniugi o fidanzati; la donna era posta nello scanner MRI mentre il compagno era seduto accanto ed entrambi erano collegati ad un elettrodo posto sulle rispettive mani destre,attraverso il quale i ricercatori assestavano scosse elettriche. Ad entrambi i soggetti era mostrato un monitor sul quale, subito prima dell’induzione dello stimolo nocivo, appariva una freccia che indicava a quale dei due soggetti fosse diretto il seguente stimolo (la donna posta nello scanner riusciva a vedere il monitor tramite un sistema di specchi).
Sono state comparate le attività
cerebrali dei soggetti femminili, durante due condizioni: la prima condizione
(condizione “soggetto”) consisteva nell’induzione della scossa dolorosa,nei
confronti della donna;mentre nella seconda condizione (condizione “altro”) la
scossa dolorosa era nei confronti del compagno.
Attraverso il suggerimento della freccia indicatrice che appariva nello schermo,anche quando la scossa non era diretta alla donna, ella era cosciente prima che fosse emanata, che essa sarebbe stata diretta verso il suo partner. E’ su questo fatto che i ricercatori si sono basati per ricavare il significato della risposta empatica al dolore in un caso come questo, in cui il comportamento emotivo altrui è dedotto e non osservabile direttamente.
L’attività cerebrale registrata nella condizione “soggetto”, coinvolge le aree somatosensoriali e motorie primarie bilaterali, l’insula e la corteccia cingolata anteriore: le prime sono deputate all’elaborazione dello stimolo fisico del dolore,mentre le seconde sono relative al significato emotivo che lo stimolo doloroso suscita nei soggetti. Quindi nel caso in cui il soggetto è personalmente sottoposto ad uno stimolo nocivo, come noto, avviene un’elaborazione sensoriale ed emotiva di esso.
Nella condizione “altro”, in cui i soggetti non sono coinvolti in prima persona nella stimolazione dolorosa, ma sono consapevoli che un’altra persona vi è sottoposta (in questo caso inoltre,chi è sottoposto al dolore è una persona che ha una rilevanza emotiva per il soggetto esaminato), la risposta neurale non coinvolge il circuito del dolore nella sua totalità: l’attività registrata infatti, è osservata solo nelle regioni limbiche dell’ ACC e dell’insula, e non nelle aree senso-motorie deputate all’elaborazione del dolore.
Introducendo l’empatia del dolore ho parlato di uno studio di Hutchison nel quale era stata individuata l’attività della corteccia cingolata anteriore in relazione a stimoli dolorosi provati in prima persona e osservati negli altri; lo studio che ho appena esposto,ribadisce il ruolo dell’ACC in questa risposta empatica e sottolinea come questa regione insieme alla regione dell’insula, siano responsabili della componente emotiva alla risposta al dolore.
Il fatto che le regioni dell’insula e dell’ACC siano attive anche quando non c’è un’osservazione diretta del comportamento emotivo altrui ma c’è solo una conoscenza astratta di esso, convalida l’ipotesi della ricerca la quale sostiene l’esistenza di circuiti cerebrali coinvolti nell’elaborazione delle diverse componenti della riposta empatica al dolore; in questo studio è stata esaminata la componente affettiva della risposta empatica ed è emersa la sua attività anche indipendentemente dalla componente senso-motoria.
Sembrerebbe quindi che il nostro sistema nervoso sia congegnato per rispecchiare, e che soltanto attraverso la simulazione dei comportamenti degli altri (attraverso il sistema specchio) e dei loro stati d’animo (attraverso le regioni limbiche),noi riusciamo a comprendere a fondo cosa provano le altre persone.
Attraverso il suggerimento della freccia indicatrice che appariva nello schermo,anche quando la scossa non era diretta alla donna, ella era cosciente prima che fosse emanata, che essa sarebbe stata diretta verso il suo partner. E’ su questo fatto che i ricercatori si sono basati per ricavare il significato della risposta empatica al dolore in un caso come questo, in cui il comportamento emotivo altrui è dedotto e non osservabile direttamente.
L’attività cerebrale registrata nella condizione “soggetto”, coinvolge le aree somatosensoriali e motorie primarie bilaterali, l’insula e la corteccia cingolata anteriore: le prime sono deputate all’elaborazione dello stimolo fisico del dolore,mentre le seconde sono relative al significato emotivo che lo stimolo doloroso suscita nei soggetti. Quindi nel caso in cui il soggetto è personalmente sottoposto ad uno stimolo nocivo, come noto, avviene un’elaborazione sensoriale ed emotiva di esso.
Nella condizione “altro”, in cui i soggetti non sono coinvolti in prima persona nella stimolazione dolorosa, ma sono consapevoli che un’altra persona vi è sottoposta (in questo caso inoltre,chi è sottoposto al dolore è una persona che ha una rilevanza emotiva per il soggetto esaminato), la risposta neurale non coinvolge il circuito del dolore nella sua totalità: l’attività registrata infatti, è osservata solo nelle regioni limbiche dell’ ACC e dell’insula, e non nelle aree senso-motorie deputate all’elaborazione del dolore.
Introducendo l’empatia del dolore ho parlato di uno studio di Hutchison nel quale era stata individuata l’attività della corteccia cingolata anteriore in relazione a stimoli dolorosi provati in prima persona e osservati negli altri; lo studio che ho appena esposto,ribadisce il ruolo dell’ACC in questa risposta empatica e sottolinea come questa regione insieme alla regione dell’insula, siano responsabili della componente emotiva alla risposta al dolore.
Il fatto che le regioni dell’insula e dell’ACC siano attive anche quando non c’è un’osservazione diretta del comportamento emotivo altrui ma c’è solo una conoscenza astratta di esso, convalida l’ipotesi della ricerca la quale sostiene l’esistenza di circuiti cerebrali coinvolti nell’elaborazione delle diverse componenti della riposta empatica al dolore; in questo studio è stata esaminata la componente affettiva della risposta empatica ed è emersa la sua attività anche indipendentemente dalla componente senso-motoria.
Sembrerebbe quindi che il nostro sistema nervoso sia congegnato per rispecchiare, e che soltanto attraverso la simulazione dei comportamenti degli altri (attraverso il sistema specchio) e dei loro stati d’animo (attraverso le regioni limbiche),noi riusciamo a comprendere a fondo cosa provano le altre persone.
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